Sara Luchetta, “Dalla baita al ciliegio. La montagna nella narrativa di Mario Rigoni Stern”, Mimesis 2020, pp. 145, 14 euro.
Non è usuale leggere l’opera narrativa di uno scrittore con lo sguardo del geografo, soffermandosi sui luoghi e soprattutto sulla loro interpretazione, che inevitabilmente libera l’autore dal rapporto tra l’interno e l’esterno da sé, e lo inserisce in un quadro naturale e simbolico più ampio. Perché, in altre parole, nessuno scrittore è un’isola, e anche nessun luogo.
Sara Luchetta, laureata in Filologia moderna con un dottorato di ricerca in Geografia, deduce con percorso logico che «per Rigoni Stern la montagna non è solo uno spazio, ma un nucleo di significati dai quali si dipartono i fili della costruzione di un modo di essere cittadino del mondo». Partendo da un’introduzione sulle geografie letterarie legate alla montagna, con particolare attenzione alla produzione italiana, s’inoltra con competenza ed equilibrio in due temi fondanti l’opera di Rigoni: “Lo spazio della natura tra domestico e selvatico”, “I nomi dei luoghi come tracce del tempo”. Risulta molto utile, e convincente, il doppio sguardo di filologa e geografa per dare il giusto peso alle parole e alla trama del racconto, senza perderli in un universo astratto come accade a certa critica letteraria. Da scrittore, non credo si possa narrare il mondo che non conosciamo, quindi questo tipo di interpretazione potrebbe essere applicato a qualsiasi romanzo e qualsiasi autore. Tutti raccontiamo noi stessi e i luoghi che ci hanno formati e trasformati nel tempo, e Rigoni l’ha fatto in modo particolarmente sincero, profondo e autorevole, diventando una sorta di ambasciatore dei significati della montagna novecentesca.
Enrico Camanni