Il turismo della montagna è certamente tra quelli che negli ultimi decenni ha avvertito i maggiori cambiamenti, a causa di un insieme di fattori, esterni e interni al mercato turistico, che lo investono più direttamente.
Il cambiamento climatico, con la variabilità di innevamento di cui siamo testimoni in questi ultimi anni, ma anche con l’inesorabile innalzamento delle temperature medie, favorisce il ridursi della stagione invernale; per contro, le temperature più miti  nelle medie stagioni offrono possibilità di fruizione anche in periodi che l’operatore turistico ha sempre considerato “morti”; come  in autunno e primavera, quando i paesaggi alpini sono particolarmente gradevoli.

L’invecchiamento della popolazione mette in discussione un modello di offerta turistica basato sullo sci da discesa, essenzialmente destinata a un frequentatore attivo, per lo più sportivo, per il quale l’apprendimento della tecnica (grazie ai maestri di sci), il periodo di soggiorno almeno settimanale (la ben nota “settimana bianca”) e la gara con attestato finale costituivano i classici parametri di riferimento. L’invecchiamento della popolazione non produce di per sé un allontanamento dalla montagna invernale (anche se non contribuisce certamente a sostenerla), ma esige proposte  più consone alle esigenze di un frequentatore meno attratto dai ritmi, dai vincoli e dagli obiettivi di un’attività sportiva.

La concorrenza di destinazioni turistiche lontane, spesso più competitive sul fronte dei prezzi, favorisce inoltre una disaffezione alla abituale vacanza in montagna, e l’evoluzione sociale e culturale induce soprattutto una modalità di fruizione meno abitudinaria, meno rigorosa e  meno impegnativa. I soggiorni diventano sempre più brevi, la frequentazione dei campi da sci più saltuaria, mentre le forme di divertimento più diverse e gli “assaggi emozionali” (si pensi alla diffusione e alla frequentazione delle ferrate, ad esempio) affascinano sempre di più, così come è certamente più presente una attenzione (non di rado più intellettuale che reale) alle tematiche ambientali, che si coniuga sempre più frequentemente con una sensibilità verso i prodotti locali e più in generale verso le identità culturali dei territori. Del resto il mercato del turismo alpino nei paesi occidentali è sostanzialmente saturo; le presenze non aumentano, ma questa stagnazione è piuttosto il risultato di un calo dei turisti italiani (nel corso dell’ultimo anno particolarmente avvertito per la crisi in atto) e di un parallelo aumento di quelli stranieri, che sono sempre più provenienti dai paesi dell’Est europeo, soprattutto in inverno.

Questo insieme di cose fa sì che nelle nostre località alpine le esigenze dei turisti siano oltremodo diversificate e richiedano una visione strategica e una capacità di gestione delle destinazioni e dei singoli servizi prima sconosciuta.
Le attività tradizionali (escursionismo d’estate e sci da discesa in inverno) continuano certamente a prevalere nel turismo alpino, ma  in modo parzialmente diverso dal passato. La quota di coloro che sono disposti a camminare in salita è sempre minore, a dispetto di quelli che frequentano maratone e parchi cittadini, che invece aumentano; ne è un dato inequivocabile la minore affluenza nei rifugi ubicati a non breve distanza dal punto di partenza.
Lo sci alpino interessa oggi circa il 50% di coloro che praticano attività sportive in montagna; ma circa uno su quattro pratica sci alpinismo (con un’interpretazione probabilmente piuttosto elastica di questa attività) e uno su 5 le escursioni con le ciaspole, diventate ormai un must per i meno giovani che intendono vivere la montagna d’inverno. Un po’ in declino sembra essere lo sci di fondo, che comunque interessa  pur sempre quasi il 20% dei praticanti, mentre ormai stagnante e relegato alle fasce giovanili è l’uso dello snowboard, che comunque viene praticato da uno su dieci.
Anche  in estate la diversificazione delle attività è il dato più significativo. Le escursioni superiori alle quattro ore complessive interessano poco più della metà dei praticanti, mentre quasi un quarto si dedica alla mountain bike, il 12% pratica l’alpinismo (ma quale alpinismo?) e il 7%  altre attività; tra queste, accanto a sport più tradizionali, come il tennis o il golf, vi è un ampia varietà  di pratiche relativamente nuove, dal parapendio alla canoa, dallo skating al rafting, sino alle immersioni subacquee nei laghi alpini, offerte in alcune grandi località delle Alpi.
In sostanza, sia in inverno che in estate, rileviamo che non più della metà dei praticanti si dedica ad attività tradizionali, mentre l’altra metà ricerca modalità diverse di fruire del paesaggio e dell’ambiente. E fin qui abbiamo considerato i praticanti attività sportive, che tuttavia non sono che il 23% di coloro che frequentano la montagna: vi è dunque una sempre più consistente quota di coloro che, pur andando in montagna,  sono alla ricerca di terme,  wellness,  shopping,  buona gastronomia tipica e anche di escursioni naturalistiche e di espressioni culturali.
Il futuro turistico delle località alpine sta dunque nella capacità di garantire una ricca diversificazione dell’offerta, che in larga parte fa appello ai richiami ambientali (i parchi ben gestiti ne sono certamente un esempio, così come le varie forme di mobilità dolce), ma in altra cede alle attrattive di un mercato  sensibile alle varie forme di motorizzazione (l’eliski o le motoslitte ne sono altrettanti esempi). Se questa diversificazione delle opportunità è ormai un imperativo per le grandi destinazioni alpine, costituisce una oggettiva difficoltà per le tante e piccole località che caratterizzano le Alpi italiane (e non solo), dove le risorse economiche e umane non sono sufficienti o adeguate a garantire questa molteplicità di offerta a un buon livello di qualità. Per loro si apre dunque una prospettiva nuova, definita da due linee strategiche: quella di caratterizzare la località attorno a una o poche attrattive di buona qualità e parallelamente quella di integrare la propria offerta con quella di altre località che avranno fatto la stessa scelta su altre attrattive. Tra queste sarà bene non dimenticare che le nostre montagne sono ricche di espressioni culturali, materiali e immateriali, e che il turista si muove anche per incontrare una “alterità”. Uscire da una logica di “monocoltura” turistica (lo sci d’inverno e il paesaggio d’estate) può dunque costituire anche un’opportunità che porta a riscoprire la disponibilità di risorse che, da sempre presenti, possono oggi diventare una nuova ragione di incontro con il turista.
Andrea Macchiavelli (Docente di Economia del turismo all’Università di Bergamo)