Media Valle Camonica. Provenendo dal Lago d’Iseo, in Comune di Malegno, nel fondovalle, si sale a sinistra verso il ridente Altopiano del Sole, tra cui spicca la bella località di Borno, una delle mete sciistiche predilette di bresciani, milanesi e bergamaschi. Nel mezzo, abbarbicato sulle pendici meridionali del Monte Mignone, sorge l’abitato di Ossimo Superiore, a circa 900 metri di altitudine. Qui, da ormai dodici anni è venuta stabilmente a vivere e lavorare Elisabetta Maccioni (cl. 1980), nata e cresciuta a Milano, ma di origini camune da parte materna e sarde da parte di padre. Dopo un paio d’anni di frequentazioni telematiche per via della comune passione per alcuni cultivar di montagna, salgo a conoscerla di persona per documentare un’altra interessante esperienza di una montanara ‘per scelta’ come lei. Giunta alla bella casa di famiglia, dopo un giretto nei campi per godere del primo sole primaverile, davanti a un buon caffè Elisabetta si racconta: “I miei si sono trasferiti giovanissimi a lavorare a Milano. Erano gli anni del boom economico, quando ti fermavano per strada per offrirti lavoro. Mio padre operaio, mia madre impiegata, si sono conosciuti e sposati. Poi sono nata io, l’unica figlia. Ho fatto tutte le scuole nel quartiere di San Siro e, giunto il tempo di scegliere la sede universitaria, a Milano ho preferito Pavia, dove studiare Biologia in una dimensione più tranquilla e a misura di studente. A ventisei anni mi sono laureata e, come dice mio padre, ‘ho fatto le valigie e non son più tornata a casa’: avevo voglia di vivere da sola e ho iniziato una nuova avventura in montagna nel paese natio della mia mamma. Qui avevo la casa e non ero una sconosciuta: sin da piccola vi ho trascorso tutte le estati, a contatto con la natura e gli animali; mi chiamano ‘la Freschi’, lo scütüm (soprannome, n.d.r.) di famiglia. Gli ultimi esami universitari li ho preparati qua, vicino alla mia nonna che in quegli anni non stava bene e a cui sono sempre stata molto affezionata».
Oltre a misurarsi con le prime esperienze lavorative, in quegli anni Elisabetta conosce Alioscia, il suo compagno, nativo di Esine. «Nei primi anni mi sono adattata a fare di tutto: ho fatto la barista, il doposcuola ai bambini durante il servizio civile, assistenza a una ragazzina senegalese sordomuta, persino l’amministrativa nella casa di riposo dove nel frattempo era stata ricoverata la mia nonna. Poi, finalmente, sono arrivate occasioni lavorative più consone ai miei studi, sebbene a tempo determinato: ho operato come educatrice didattica presso il centro di educazione ambientale del giardino botanico alpino ‘Vivione’ in Comune di Paisco Loveno e per tre anni presso la sede di Breno di Ersaf, l’Ente Regionale per i Servizi all’Agricoltura e alle Foreste: qui ho avuto la fortuna di seguire l’accordo di programma sovracomunale per la valorizzazione della Val Grigna, una tributaria laterale della Val Camonica, che mi ha permesso di svolgere sia lavoro d’ufficio che sul campo, tra i pascoli e le malghe della zona. L’opportunità di fare nuovamente didattica con giovani, turisti e disabili è giunta sempre grazie a Ersaf, che in territorio di Borno gestisce quattro ettari a bosco, pascolo e terrazzamento per colture: in quell’occasione ho cominciato a ‘mettere le mani nella terra’, seminando e raccogliendo a fini dimostrativi patate e fave di montagna. Purtroppo quell’iniziativa fu bruscamente interrotta dalla Regione, ma è stato così che, nel corso dell’anno di disoccupazione che ne è seguito, ho maturato il mio progetto di vita avendo il tempo di seguirne tutte le non semplici fasi burocratiche: nel 2015 ho fondato la mia azienda agricola, basata principalmente su antichi cultivar locali, cui ho tributato il nome dello scütüm di famiglia, Freschi».
Rispetto alla vita e alle opportunità che la città offre, come ti sei trovata quassù? «La vita vera per me è stata quando sono arrivata qua: il paese, le mie origini. Milano era troppo estraniante. I miei amici mi dicevano che ero pazza, ma io qua stavo bene, anche se sono consapevole che non è una scelta per chiunque. Avendo studiato Biologia sarebbe stato più usuale andare a lavorare in un laboratorio di analisi, ma io, che di quel corso di laurea avevo scelto il ramo ecologico-ambientale, qui apprezzo molto la vita vegetale e animale che mi circonda: il mattino c’è il picchio che canta, la sera c’è l’allocco, ho i miei animali domestici. Nelle mie estati d’infanzia le galline le ho sempre viste, i fagioli li ho sempre raccolti. Anche a Milano avevo l’hobby dei bonsai, mia mamma delle orchidee, facevamo l’orto sul balcone».
Com’è iniziato il lavoro in azienda? «Ho beneficiato del Premio Giovani che per le aree svantaggiate lombarde consta di 35.000 a fondo perduto. Per fortuna non sono da sola: il mio compagno ha il suo lavoro da dipendente, ma mi aiuta nei lavori pesanti, e una grossa mano la dà papà Ignazio, che nel frattempo è venuto a vivere qua con mia madre: se io semino, è lui che rincalza, e salda le reti di sostegno dei fagioli rampicanti, una delle specialità di nostra produzione. Qui noi non abbiamo terreni di proprietà, ma grazie al fatto che la mia famiglia da parte materna è originaria di qui ed era molto benvoluta non ho avuto problemi ad avere terreni, peraltro ben esposti al sole, in comodato d’uso. Io ricambio con i miei prodotti della terra. Produciamo orticole, iniziando le semine ad aprile e raccogliendo tra luglio e novembre. I fagioli sono i miei gioielli, e appartengono ad antichi cultivar dei paesi della Val Camonica: dal fagiolo a riga d’oro di Zazza al ‘copafàm’ (letteralmente: ammazzafame, per la sua consistenza pastosa, n.d.r.) del genere Coccineus che rivestiva un ruolo importante nella dieta montanara, dal dihiplì bianco e nero ai borlotti locali. I frutti migliori sono destinati a essere conservati come semente per le annate successive. Altro protagonista di spicco delle mie produzioni è lo zafferano, che si raccoglie in ottobre e che viene venduto in pistilli essiccati: dalle analisi eseguite risulta essere di qualità molto elevata. Riguardo alle patate ho sperimentato molte varietà, da quelle più comuni a quelle più rare, che riservo al consumo famigliare e alla clientela più ricercata; quella che in montagna dà il meglio di sé è senza dubbio la Desirée, a buccia rossa e pasta gialla».
Si parla tanto anche di varietà antiche di cereali di montagna, di cui ripristinare le coltivazioni per attivare filiere locali: «Per ottenere un reddito dai cereali bisogna coltivare grandi estensioni di terreno e impostare l’azienda diversamente da me. Ho tentato con la coltivazione di varietà locali di mais da polenta ma con scarsi successi: le patologie che affliggono questa delicata coltura e i vari animali predatori ne hanno seriamente compromesso la resa finale». Mi dicevi che nella regione sarda della Marmilla, in provincia di Oristano, da cui tuo padre Ignazio è originario, producete anche dell’ottimo olio extravergine che integra in maniera importante il reddito aziendale: «Sì, lì tutti i terreni sono nostri e sono vocati ad uliveto. In ottobre, mentre io qui in montagna completo la raccolta di ortaggi, mio padre e il mio compagno sono in Sardegna per dedicarsi alla raccolta delle olive, che vengono spremute a freddo in giornata».
Quali sono i tuoi canali di vendita privilegiati? «Il passaparola, gli amici, i parenti, i colleghi di lavoro di Alioscia costituiscono lo zoccolo duro della clientela. Poi, essendo Ossimo e Borno località turistiche, la verdura estiva è destinata quasi tutta ai villeggianti, considerato che in questa zona vi sono più che altro allevatori mentre io sono l’unica produttrice di ortaggi. Se da una parte mi ritengo una contadina ‘antica’ perché lavoro ancora a zappa, sono una grande utilizzatrice della tecnologia e in particolare di Facebook e Whatsapp che sono utilissimi strumenti di vendita, dove caricare in broadcast l’elenco delle verdure disponibili, ricevere gli ordini e fare le consegne in giornata. Di mercati invece non ne faccio perché il mio obiettivo è di vendere solo i miei prodotti e non di acquistarne altrui spacciandoli per miei, come invece spesso accade: non è quindi detto che per il tal mercato del tal giorno io abbia prodotti disponibili da vendere. Ecco perché preferisco vendere sempre direttamente in azienda ciò che i miei campi producono».
La nuova stagione agricola si avvicina. Quali sono i tuoi prossimi obiettivi? «Adesso tanti compaesani vogliono darmi gratuitamente i loro terreni, ma non riesco a stare dietro a tutto! Coltivando in maniera del tutto naturale, ora sono in conversione biologica, obbligatoria per due anni in vista della certificazione che in Regione Lombardia è gratuita per i primi cinque anni. Entro i cinque anni dalla fondazione dell’azienda dovrei avere un pieno reddito personale, dopodiché, quando tutti gli uliveti in Sardegna saranno entrati in produzione, è probabile che anche il mio compagno possa lasciare il suo lavoro per dedicarsi interamente all’agricoltura. Il nostro sogno è di vivere in una cascina più in quota rispetto al paese, dove avere tanto verde dove allevare in più spazio i nostri animali – galline, oche, anatre – e soprattutto i nostri amatissimi asini che sono a tutti gli effetti parte integrante della nostra famiglia».
Un grandissimo augurio a Elisabetta, che della sua montagna sta interpretando al meglio carattere e potenzialità, preservando dall’oblio varietà vegetali altrimenti a rischio di estinzione colturale e culturale.
Michela Capra
Azienda Agricola Freschi di Maccioni Elisabetta, Ossimo Superiore (Bs), Tel. 3383537733, www.facebook.com/aziendaagricolafreschi/