C’è un nuovo modello di partecipazione attiva che si sta facendo strada in Italia, fondato sull’idea che possiamo diventare protagonisti di un potente cambiamento, prendendoci cura della gestione dei beni comuni materiali e immateriali: piazze, strade, fontane, giardini, biblioteche, edifici abbandonati, e come vedremo anche territori di montagna. Un diritto sancito dal 2001, quando è stato introdotto nella Costituzione il principio di sussidiarietà. Ma ci è voluto più di un decennio perché l’innovazione legislativa innescasse una trasformazione culturale, con l’adozione da parte di alcuni comuni dei regolamenti che traducono in pratica questo diritto. La città pioniera è stata Bologna, dove il Comune ha collaborato con Lasbus per la redazione del primo regolamento per l’amministrazione condivisa dei beni comuni, associazione “laboratorio della sussidiarietà” che raduna esperti di diritto, sociologi, antropologi e associazioni che attuano la loro cittadinanza attiva perseguendo un obiettivo “fondato su una certezza”, si legge nel sito dell’associazione, che “le persone sono portatrici non solo di bisogni ma anche di capacità che possono essere messe a disposizione della comunità per contribuire a dare soluzione, insieme con le amministrazioni pubbliche, ai problemi di interesse generale”.
Stiamo parlando di un’avanguardia, di pionieri. Ad oggi solo 187 degli 8.057 comuni italiani hanno fatto questa scelta, declinando i regolamenti sulla base delle esigenze specifiche. Ci sono grandi città come Roma, Milano, Torino, Genova, ma anche tanti piccoli Comuni. Non sono certo tutte rose: un problema diffuso è la resistenza al cambiamento da parte dei dipendenti comunali, che per attuare i patti di collaborazione sono obbligati ad adottare nuovi paradigmi nella relazione con i cittadini attivi.
Un esempio virtuoso è in atto a Condove, comune della valle di Susa che approvò i regolamenti per l’amministrazione condivisa a dicembre 2015 e divenne un laboratorio del cambiamento. L’associazione sportiva Freemount, ideata da un gruppetto di giovani appassionati di corsa in montagna, ha attuato il primo patto di amministrazione condivisa: la manutenzione del sentiero che porta al Collombardo, dotandolo di una nuova segnaletica, rilanciando una storica gara di corsa in montagna e il Toma Trail, legato alla Fiera della Toma locale, la più importante manifestazione dell’estate condovese. Un esempio che ha conquistato la comunità che si è attivata su base volontaria, ma che vede anche un capitolo del bilancio comunale dedicato espressamente alla gestione dei beni comuni. «Dopo decenni di abbandono – spiega Susanna Riva, consigliera comunale – è in atto un fenomeno inverso, molte famiglie tornano in montagna, perché la gente ha bisogno di partecipare e prendersi cura della propria storia. E questo agisce da volano anche per i servizi, infatti sono sorte piccole iniziative imprenditoriali. Se la tua montagna è percorsa e vissuta, diventa davvero un’attrattiva turistica».
L’amministrazione dei beni comuni ad Andonno, nelle Alpi Marittime, affonda invece le radici nella storia. Questa piccola frazione di Valdieri, 300 abitanti, in Valle Gesso, bandiera verde di Legambiente nel 2015, ha dovuto combattere a lungo per mantenere gli antichi privilegi che destinano al sostentamento della comunità le risorse di pascoli e boschi comunitari. Uno status simile ad altre realtà presenti in molte regioni italiane, riunite nella “Consulta nazionale della proprietà collettiva” che ha sede a Trento e fa capo all’Università. La riscossa di Andonno è cominciata a metà degli anni ’90, quando il sindaco di Valdieri concesse a Italcementi di espandere le cave di calcare in un territorio adiacente al paese. Lo sfruttamento avrebbe pregiudicato l’ambiente montano, e per contrastare questa scelta sorse un comitato che riuscì a bloccare il progetto. L’ente giuridicamente è una Asbuc (l’acronimo sta per Amministrazione separata di beni di uso civico frazionale). E’ stato rifondato nel 1998, ma ci sono voluti anni di contenzioso con la Regione Piemonte per ottenere il riconoscimento ufficiale. I diritti ad Andonno non si tramandano per via ereditaria, come avviene per esempio per le Regole cadorine, ma sono estesi a tutti i residenti, riuniti in un’assemblea che elegge un comitato di gestione. «Per raggiungere lo scopo è stato molto importante il contributo del Centro studi di Trento», spiega Daniela Risso, presidente del Comitato di gestione, che arrivata a Andonno nel 2002, è stata tra i protagonisti del processo di riconoscimento dei diritti tradizionale dei residenti. La Regione Piemonte nel 2007 ha finalmente riconosciuto la legittimità dello statuto dell’ente, promulgando nel 2009 la legge che regola lo sfruttamento delle terre collettive. Ci sono altre tradizioni di uso civico in Piemonte, ma secondo la legge piemontese queste, per ora, non potranno gestire direttamente i proventi delle terre comuni. «Abbiamo lottato e siamo diventati un caso, ma questa è davvero una nota amara», continua Daniela Risso.
L’Asbuc di Andonno funziona così: ogni nucleo familiare residente ha diritto di estrarre dai boschi di faggio 150 quintali di legna all’anno “ad uso focatico” per il riscaldamento delle case, e i profitti, che derivano dalla concessione delle cave situate sui terreni comuni e dalla vendita del legname tratto da alcuni lotti commerciali, sono reinvestiti a beneficio della comunità. A carico dell’Asbuc anche l’assistenza di dottori forestali per procedere al taglio. La comunità è solida, e anche grazie all’Asbuc oggi ha tutte le carte in regola per ospitare un turismo in cerca di valori veri: sta riprendendo piede l’antica usanza della raccolta della lavanda, che un tempo d’estate impegnava tutti i residenti, ci sono famiglie che ritornano a vivere in paese e nuove attività per il turismo e l’agricoltura di qualità che aprono i battenti. «Non abbiamo i privilegi dei nostri cugini trentini della Magnifica Comunità di Fiemme – conclude Daniela Risso – ma le nostre faggete danno ottima legna da ardere. Per questo motivo la prossima sfida sarà cercare di costituire una comunità energetica, per ottimizzare lo sfruttamento della nostra legna». Il paese è la porta del Parco Naturale delle Alpi Marittime, struttura che ha aderito alla Carta per il turismo sostenibile e che è candidato a diventare patrimonio Unesco: un passo importante per consolidare il futuro del “paese dei sette soli più ancora un raggio”, espressione locale che definisce la piccola e combattiva comunità di Andonno.
Claudia Apostolo, Legambiente Alpi