Siamo fermamente convinti che un dibattito fertile sul tema dei rifugi alpini sia possibile solo evitando di confinarsi nei tecnicismi e nelle settorialità dei diversi attori coinvolti, e ponendo invece al centro i fondamentali aspetti culturali che costituiscono l’anima stessa della montagna. Ad impersonificare al meglio questa sensibilità è il gestore di rifugio, colui che è appropriatamente denominato “rifugista”, a testimonianza dell’unicità della sua figura umana e professionale. Il rifugista si delinea come un prezioso e discreto custode del territorio alpino, curandone la manutenzione e l’aménagement, tenendo in ordine l’integrità complessiva dell’ambiente, dei suoi percorsi, delle sue strutture, del suo patrimonio storico e culturale in continua evoluzione.
Al di là della primordiale funzione di accoglienza, ricovero e ristoro, la sua figura si carica infatti del ruolo di punto di riferimento escursionistico e alpinistico che conosce come nessun altro il “suo” brano di montagna, le sue caratteristiche e i suoi percorsi; il rifugista garantisce inoltre il primo e più avanzato presidio di sicurezza in alta montagna, informando i suoi frequentatori sulle condizioni del contesto (meteorologia, orografia, geologia, nivologia sono alcune delle sue competenze) e monitorandone poi discretamente i movimenti da lontano.
Il grande potenziale sotteso al modus vivendi offerto da un gestore capace e appassionato consiste poi in un servizio intrinseco di utilità pubblica: attraverso un modello di vita intelligente e frugale per necessità, risulta essere un ottimo esempio pratico di educazione civica in direzione di una condotta rispettosa dell’ambiente e del fragile contesto montano, dove le ricadute negative di un contegno scorretto sono immediatamente evidenti sull’ecosistema e sull’uomo stesso. Il rifugista è infatti veicolo primario dei valori di sobrietà e senso della misura, di comportamenti verso l’ottimizzazione delle risorse e delle energie disponibili, del senso di responsabilità individuale di fronte alla “scuola” della montagna: precetti quanto mai necessari in questo specifico contesto, ma universalmente validi. Questo stesso modello di vita diventa un tutt’uno con l’edificio che lo ospita: rifugista e rifugio sono due entità inscindibili. La stratificazione data dall’uso plasma un rifugio funzionale ed efficiente, rendendolo simile per funzionalità ed integrazione delle componenti ad una barca a vela, dove tutto il necessario è configurato e ragionato per essere al posto giusto per essere governato al meglio dal timoniere. Il rifugista inoltre ha frequentemente delle forti motivazioni personali che lo portano a trasformare la sua attività in una vera e propria scelta di vita – nel presente numero del magazine potrete constatarlo -, profondamente intrecciata al territorio e all’edificio stesso; in questo ambito più che altrove, è infatti richiesta una forte capacità di adattamento alle sempre diverse condizioni di lavoro e alle difficoltà dovute all’isolamento in un contesto ostile alla vita umana. Come abbiamo sottolineato più volte in altre occasioni, il rifugio si connota come un’entità di natura culturale che si pone come presidio di esplorazione e di conoscenza della montagna: vivendolo quotidianamente, il rifugista è il depositario di tale bagaglio di valori. Valori non stabiliti a priori o entro posizioni ideologiche, ma concetti concreti che si definiscono progressivamente attraverso l’esperienza della montagna costituendo l’essenza stessa dell’idea di “sostenibilità”, nella sua originaria accezione al di là delle retoriche: dall’ambiente alla socialità, dalla solidarietà alla responsabilità individuale.
Roberto Dini e Stefano Girodo