Secondo il geografo francese Armand Fremont, i geografi si sporcano volentieri i piedi di fango. Anche di neve, di letame e di sangue, aggiungeremmo.
Per questo, dopo i primi mesi trascorsi sotto le luci al neon degli uffici, a definire le metodologie insieme agli altri partner e a organizzare il calendario delle attività, la squadra di ricerca di Dislivelli (in collaborazione con il gruppo dell’Università di Torino attivo sul progetto Atlante del Cibo) ha iniziato con grande entusiasmo il lavoro sul campo delle attività di inventario e coinvolgimento delle comunità locali sul patrimonio immateriale legato al cibo nelle vallate piemontesi. Il primo contesto territoriale e culturale sul quale stiamo lavorando è quello delle valli valdesi: Pellice, Chisone e Germanasca, caratterizzate da un forte senso di identità sociale e culturale, oltre che religiosa, che si riflette anche sulle tradizioni e sulle abitudini alimentari.
Anche se difficilmente si può parlare di una cucina valdese oggi distinta in maniera chiara da quella delle altre popolazioni montanare e dei cattolici che vivono negli stessi luoghi, la lunga ghettizzazione nelle vallate alle spalle di Pinerolo da un lato (fino al 1848) e i forti legami internazionali con le comunità protestanti dell’Europa centrale, hanno portato ad alcune abitudini e pratiche tipiche di queste valli. Ad esempio quella di interrompere a metà pomeriggio i lavori di casa e dei campi, per sorseggiare una tazza di tè (che nelle alte valli era più spesso una tisana d’erbe, magari allungata con del vino). Si tratta di un’usanza, oggi quasi scomparsa, derivata dagli stretti rapporti tra i valdesi di queste zone e gli inglesi, come mostra anche l’importanza del sistema scolastico capillare, che ha portato l’istruzione di base anche nelle borgate più remote, sostenuto dal colonnello inglese Charles Beckwith. A mettere in evidenza questa pratica sono lo chef Walter Eynard e Gisella Pizzardi, che per anni hanno gestito un ristorante a Torre Pellice e che da tempo si occupano di studiare e raccontare la cucina delle loro valli.

La ricerca delle pratiche da approfondire per arricchire l’inventario di AlpFoodway ci ha portati, grazie al sostegno del Centro Culturale Valdese, a identificare due preparazioni che caratterizzano la cultura alimentare delle valli valdesi e che abbiamo studiato raccogliendo testimonianze e materiali e partecipando attivamente alla loro preparazione. La prima è la mustardela, un insaccato prodotto principalmente con il sangue e gli avanzi della macellazione del maiale (teste, frattaglie, etc.), che è espressione della fondamentale importanza di “non buttare via niente”, che da sempre caratterizza l’economia familiare di montagna. La realizzazione della mustardela (oggi Presidio Slow Food) ci è stata mostrata e raccontata da Giovanni Michelin Salomon, macellaio di Bobbio Pellice e portavoce dell’Associazione dei produttori e dalla famiglia Garnier di Villar Pellice, che ci ha accolto durante la macellazione familiare del maiale, il festin dal crin, che un tempo, ancora più di oggi, rappresentava una festa per tutta la famiglia. Al festin è legata anche la preparazione della supa barbetta, che prende il nome dall’appellativo dispregiativo di “barba” attribuito ai valdesi. Preparata con brodo di carne (un tempo di ossa), grissini (un tempo pane secco) e formaggio, la supa oggi viene considerata il piatto più rappresentativo della cucina valdese ed è preparata per le occasioni speciali, come i pranzi comunitari organizzati per il 17 febbraio, festa delle libertà civili.
Giacomo Pettenati

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