La Val Grana fa parte dell’area denominata “Occitania italiana” come altre valli delle provincie di Torino, Cuneo, Imperia. Intorno agli anni ‘60 si verificò un progressivo abbandono dei paesi da parte degli abitanti, attirati dall’industrializzazione della vicina Torino e in cerca di una vita meno dura per sé e i propri figli. Nel giro di pochi anni le valli si spopolarono, restarono solo le case di ardesia diventate presto ruderi. Da alcuni anni, con fondi europei e regionali, si assiste ad un recupero architettonico e delle attività agricole, anche se a fatica e con forte orientamento al turismo. La pastorizia continua a vivere, in parte grazie anche a questi fondi, in questo modo prosegue la tradizione del famoso formaggio Castelmagno, che una volta gli abitanti del luogo usavano stagionare sotto al letame. Oggi è un prodotto DOP di alcuni comuni della Val Grana. Ma il luogo è pervaso da un senso di misticismo che resiste al tempo. Il Santuario di San Magno, gli innumerevoli piloni votivi, gli affreschi che fanno capolino dai ruderi, le chiesette semi-abbandonate raccontano quanto bisogno di spiritualità avessero gli abitanti di questi luoghi così difficili da abitare, terre a cui strappavano la sopravvivenza di intere famiglie anche d’inverno, quando la neve cadeva anche per più di un metro ed era impossibile uscire di casa. Una spiritualità espressa in maniera semplice, contadina, ma che ben si coniuga con le altitudini di questi luoghi. Persino un gruppo di monaci tibetani negli anni ‘70 scelse il borgo Batuira per viverci una trentina di anni, un borgo fatto di poche case abbandonate poste su uno sperone di roccia che sprigiona un’energia mistica, tutta interiore. Ebbene, in questi luoghi dimenticati da dio, un dio esiste ancora.
Luisa Montagna


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