Antonio De Rossi, La costruzione delle Alpi. Immagini e scenari del pittoresco alpino (1773-1914), Donzelli Editore, Roma, 2014. 420 pp. e 128 tav. f.t., 38 euro

La cosiddetta “invenzione” delle Alpi, cioè la storia di come l’immaginario alpino si sia venuto costruendo e trasformando nei secoli, è da tempo oggetto di un’ampia saggistica che questo volume certo non ignora, anche se esso va ben oltre, offrendoci una storia non ancora scritta. Infatti, mentre approfondisce l’evoluzione dell’immaginario con ricerche originali, la intreccia con la progettazione e la trasformazione fisica dello spazio alpino. Ci illustra cioè con ampiezza di esempi e di citazioni il processo circolare performativo con cui le rappresentazioni (discorsive, cartografiche e artistiche) hanno orientato i comportamenti collettivi e attraverso ad essi guidato l’azione trasformatrice dei contesti fisici, la forma e la distribuzione dei manufatti, a loro volta generatori di nuovi comportamenti e nuove rappresentazioni. Tutto ciò è riferito alle Alpi che vanno dalle Marittime all’Engadina, tra Francia, Italia e Svizzera, in un periodo storico compreso tra le prime esplorazioni scientifiche sistematiche del ’700 e la fine della Belle Époque, quando l’immagine del pittoresco alpino ha raggiunto ormai la sua piena espressione.
Dopo un’introduzione molto stimolante sotto il profilo metodologico e concettuale, la trattazione si snoda in dieci capitoli in cui vengono esaminate le tappe della “costruzione” di cui s’è detto, alternando quella del pittoresco a quella delle architetture e delle infrastrutture, nonché ad approfondimenti locali, frutto di ricerche originali riguardanti soprattutto le Alpi piemontesi e valdostane.
Impossibile dar conto qui della ricchezza di notizie, di riflessioni e di interpretazioni. Mi limito a segnalare che il libro dimostra con abbondanza di esempi come la “costruzione” delle Alpi deriva dall’incontro-scontro della cultura urbana con l’alterità fisica e culturale del mondo alpino, in una sequenza di quadri che vanno dai primi tentativi sette-ottocenteschi di decifrare la “montagna geologica” attraverso la scienza, la poesia e la pittura, fino alla sua colonizzazione turistica, già chiaramente delineata all’inizio del ’900, passando per la conquista alpinistica, l’immagine di playground of Europe e la riduzione dei suoi più celebri panorami a “palcoscenico di un teatro d’opera” (A. Daudet). Il tutto accompagnato e sostenuto da realizzazioni all’avanguardia in campo architettonico e paesaggistico, tecnologico (le strade, i trafori…) e imprenditorial-turistico. Ovviamente in forte contrasto con un’altra realtà, che apparirà soprattutto dopo il 1914, quella della montagna teatro di guerra, invasa dall’industria di fondovalle, spopolata e marginalizzata al suo interno.
Tra le cose a noi più vicine va segnalato il cap. VII, dedicato al ruolo particolare giocato da Torino, capitale di un regno che comprendeva allora la Savoia e quindi il Monte Bianco al tempo della sua conquista, che era un centro all’avanguardia negli studi geologici, costruita con pietre e marmi delle Alpi, patria del Club Alpino, celebrata da poeti e letterati come “stanza e teatro montano”, promotrice dell’infrastrutturazione delle valli e dei collegamenti transalpini, valorizzatrice delle testimonianze storico-artistiche alpine, studiate (Cibrario), figurate (Gonin, Delleani ecc), riprodotte (D’Andrate), descritte e cantate (Giacosa e altri). Molto interessante è anche il racconto dettagliato di come tutte le nostre valli, dalla Valle d’Aosta alle valli di Susa e di Lanzo, a quelle del Monviso, Valdesi e Biellesi, abbiano partecipato a pieno titolo alla grande storia europea della “costruzione” alpina.
Il libro sarà certamente apprezzato dagli specialisti per la ricchezza della documentazione (gli apparati in fondo comprendono 35 pagine di bibliografia e indici dei nomi di autori e luoghi). Ma è anche un testo splendidamente illustrato, leggibile e godibile dal grande pubblico, in specie da chi ama capire il presente attraverso la storia. Aspettiamo di leggere la continuazione di questa storia che l’autore già ha studiato in più occasioni e che certamente vorrà condensare in un secondo volume altrettanto ricco.
Beppe Dematteis