La Convenzione delle Alpi è sicuramente un qualcosa di importante. Eppure, come si dice oggi, non è sexy. Nel senso che, a parte gli addetti ai lavori in senso stretto, pochi sanno di cosa si tratta. Anche tra coloro che, a vario titolo, potrebbero trarne un qualche vantaggio.
Questo, almeno, è quello che emerge da una rapida inchiesta fatta dalla Redazione di Dislivelli, che ha interpellato alcuni professionisti che a vario titolo si occupano, anche, di temi inerenti la montagna: un rifugista, un meteorologo e un’allevatrice.
La prima domanda rivolta agli intervistati è banalmente: sapete cos’è la Convenzione delle Alpi?.
«Ho letto qualcosa a proposito in una rivista, ma francamente non saprei dire cos’è”», dice Massimo Manavella, rifugista e presidente dell’Agrap, l’Associazione rifugi alpini del Piemonte.

«Sì, ma non ho mai approfondito troppo questa tematica», gli fa eco Daniele Cat Berro, della Società meteorologica italiana.

Mentre Marzia Verona, pastora transumante e scrittrice testimone del suo mondo risponde senza esitazione con un: «sì».

E sapete anche di cosa si occupa?
«No», ammette Massimo Manavella. «Si occupa di tracciare delle linee condivise per una gestione del territorio alpino che sia sostenibile, sia dal punto di vista ambientale che sociale ed economico», ribatte sicuro Daniele Cat Berro. E Marzia Verona aggiunge: «E’ un trattato internazionale tra i paesi delle Alpi stipulato per promuovere lo sviluppo sostenibile del territorio alpino e delle sue genti».
Secondo voi potrebbe essere uno strumento utile per il vostro lavoro?
«No, perché non mi pare che ci siano molti punti di intersezione tra il manifesto della Convenzione delle Alpi e il lavoro che svolgo», sentenzia Daniele Cat Berro. «No», conferma lapidario Massimo Manavella. «Potrebbe esserlo, ma nel campo dell’agricoltura-allevamento c’è molta disparità tra i vari Paesi europei. Sarebbe bello se si potesse ottenere una legislazione in questo ambito a livello alpino, per differenziarsi dagli allevamenti intensivi della pianura», conclude Marzia Verona.
Negli ultimi due anni avete sentito parlare di più di questa Convenzione delle Alpi?
«In realtà ne sento parlare da tanto e non saprei dire se la visibilità della Convenzione delle Alpi è aumentata in questi due anni di presidenza italiana. L’impressione che ho potrebbe essere alterata anche dal fatto che in questi anni sono entrato in contatto con realtà che bene o male trattano molti dei temi della Convenzione, come ad esempio l’associazione Dislivelli o la Cipra Italia, che sicuramente hanno veicolato il suo manifesto», spiega Daniele Cat Berro. Mentre Massimo Manavella sentenzia lapidario: «No». E Marzia Verona aggiunge: «Non in modo particolare».
Infine la domanda più soggettiva: cosa vi aspettate dalla Convezione delle Alpi?
«Nel mio lavoro di rifugista incontro solo clienti interessati alla montagna dal punto di vista delle attività sportive – spiega Massimo Manavella -. In particolare si fa un gran parlare di gradi di difficoltà in alpinismo, piuttosto che di tempi di salita su una determinata vetta oppure di condizioni della neve per fare scialpinismo o ciaspole. Mi piacerebbe che le istituzioni che rappresentano la montagna ci aiutassero a trasmettere un’immagine di vita e cultura nelle nostre Alpi». Magari anche attraverso lo strumento Convenzione. Daniele Cat Berro aggiunge: «Parlando di clima e cambiamenti climatici è necessario iniziare a tracciare delle linee comuni a livello di regione alpina. I problemi ambientali che in questi ultimi anni ci siamo trovati ad affrontare sono poi strettamente legati alla questione delle energie rinnovabili. Ad esempio, urge in seno al territorio alpino una strategia comune e comunitaria sull’edilizia. Prendiamo la certificazione CasaClima: perché non si può estendere a tutti gli edifici alpini?». Marzia Verona conclude dicendo: «In generale, si deve operare per far sì che le Terre Alte siano riconosciute come territorio in cui le condizioni di vita/lavoro non possono essere equiparate a quelle del resto del territorio».