Su una cosa siamo tutti d’accordo: la borgata è il “mattone base” della vita e del paesaggio delle nostre Alpi. Solo noi del resto abbiamo delle cose così. Tra l’altro, grazie allo stratificarsi delle costruzioni nel corso dei secoli la borgata rappresenta un modello insediativo che dal punto di vista spaziale è assai più ricco e complesso di qualunque architettura contemporanea, foss’anche fatta da Peter Eisenman o Zaha Hadid: tutto un susseguirsi di vicoli, slarghi, saliscendi, punti di soglia, che farebbe la gioia di qualunque bambino.
Ma i punti di accordo finiscono qui. Se si tratta di recuperare la borgata, apriti cielo! Ecco che arriva l’ex cittadino che si è trasferito in montagna diventando più montanaro dei montanari: tutto deve essere “tradizionale”, in pietra e legno, le auto bandite, e possibilmente deve aleggiare su tutto un clima da via crucis e di autofustigazione, con l’obiettivo di ricreare condizioni di vita almeno di qualche secolo fa, perché quella è la vera vita di montagna! Poi arriva il cittadino più cittadino dei cittadini: per carità, tutto bene, ma deve poter entrare con l’auto fino nel suo tinello in stile rustico maron, per non faticare con le borse della spesa fatta al discount di Nichelino. Poi c’è il montanaro locale: del tema non gliene importa molto, e fino all’altro giorno utilizzava mattoni forati e portoghesi, ma ha capito che se mette dei gerani alle finestre e delle cioche un po’ qui un po’ là la tuma a quei badola di turisti torinesi la vende meglio. E infine c’è il povero maghrebino con famiglia che affitta in nero dalla vecchia megera che possiede venti baite e che non capisce bene di cosa si stia parlando: quello che conta è che l’affitto sia contenuto (ci mancherebbe, con tutta quell’umidità!) e che possa mettere la parabolica sul tetto in lose. Inutile dire che a questo bel quadretto bisogna aggiungere sul contorno qualche tecnico comunale, la Sovrintendenza, una qualche associazione ambientalista, lo studio immobiliare locale, e last but not least il rappresentante che vende lose fotovoltaiche, straordinario ossimoro costruttivo che poteva essere inventato solo in Italia. Se lo scapigliato Achille Giovanni Cagna fosse ancora vivo, sai che magnifico sequel di “Alpinisti ciabattoni”!
Foto: http://dona-laterrazza.blogspot.it/2012/03/piccolo-montanaro.html
Insomma, un efficace spaccato metonimico della nostra società italica destinata all’autodissoluzione. Eppure invece no, noi dell’Istituto di Architettura Montana del regio Politecnico insieme all’Uncem in questo progetto di recupero delle borgate ci vogliamo proprio credere. Ci piacerebbe essere di supporto per realizzare dei progetti ragionevoli e credibili, dove la questione estetica e stilistica non rappresenti l’unico parametro di valutazione, specie se tutto ciò si riduce a un tema di adesione a stereotipi e convenzioni culturali. Ci piacerebbe sperimentare progetti realmente sostenibili, ambientalmente ed economicamente, che prendano in considerazione fattori normalmente sottovalutati come gli aspetti energetici, il sistema dell’accessibilità, o il tema della manutenzione-gestione nel tempo. Progetti capaci di salvaguardare il più possibile l’eredità della storia, recuperando lose e straordinari muri in pietra, o la patina che ricopre vicoli e passaggi. Evitando magari di portare nuove pietre che vengono quasi sempre da centinaia o migliaia di chilometri di distanza, e che sono, oltre che poco ecosostenibili, estranee al paesaggio locale per materialità, colore, grana. E se c’è qualche volume nuovo da aggiungere, magari si può immaginare qualche soluzione contemporanea. Con ragionevolezza ed evitando subito di gridare allo scandalo: il legno, specie se di produzione locale, può ad esempio unire proficuamente i temi dell’ecosostenibilità, dell’inserimento ambientale e della contemporaneità. E in Svizzera e in Austria ci hanno insegnato da tempo che un po’ di acciaio corten sta benissimo vicino alle pietre, l’importante è spiegare alle signore (mi è già capitato) che non ci hanno fregato vendendoci delle lastre di ferro già arrugginite.
Personalmente credo che esistano alcune parole chiave per questo ambiziosissimo progetto di recupero delle borgate. Queste parole sono: semplicità, rigore, sobrietà, misura, limite, responsabilità. Le fioriere in legno del peso di diversi quintali che vedo sovente arredare (arredare!) le nostre borgate non possiedono nessuna di queste qualità, e stanno bene solamente nei film dei Flintstones. I montanari di un tempo, quando producevano manufatti e case, avevano un senso dell’economia dei materiali e delle risorse che si tramutava in valore estetico: un pezzo di legno ad esempio per fare un architrave di una porta veniva lavorato per essere portato al limite delle sue possibilità meccaniche ed elastiche, e quindi anche espressive, e ciò era motivo di meraviglia per tutti. Leggerezza contro pesantezza, inventività contro ovvietà opulenta. Non è certamente facile, per mille ovvie ragioni: ma tentiamo di ripartire da lì.
Antonio De Rossi