La Rivista del Cai un tempo si chiamava “mensile”, e si portava addosso gli onori e gli oneri di una lunga storia di comunicazione istituzionale e non. Era praticamente l’unica sul mercato: con “Lo Scarpone” deteneva l’esclusiva del sapere italiano sulla montagna, ogni avvenimento impresa nascita o morte passava da quei due giornali, che ne garantivano l’autentificazione. Talvolta la santificazione.
La Rivista Mensile ha subito il primo colpo a cavallo tra gli anni sessanta e settanta del Novecento, quando i ragazzi dispettosi di Rassegna Alpina – il primo giornale “laico” di montagna e alpinismo – si sono divertiti a irridere i vecchi dogmi della montagna e del Cai, riviste comprese, naturalmente. La nouvelle vague dell’alpinismo italiano postsessantottino leggeva Rassegna Alpina 2, mentre la vieille vague si accontentava degli articoli talvolta paludati e altre volte no della rivista tradizionale.
Nonostante tutto la Rivista Mensile ospitò in quegli anni articoli fondamentali come “I falliti” di Motti o traduzioni rivoluzionarie come “L’alpinista visionario” di Robinson, ma ormai i tempi erano maturi per un periodico più professionale, non tanto basato sui racconti d’impresa quanto sulla loro collocazione storica, e assai interessato anche alle problematiche della civiltà alpina, ai grandi cambiamenti del turismo, al futuro delle Alpi e dell’alpinismo. Così nel 1970 nacque la Rivista della Montagna e la Rivista del Cai sembrò subito vecchiotta, non solo nei contenuti, soprattutto nella grafica, nell’impostazione editoriale, nel pensiero di fondo. E quando poi nel 1985 venne Alp, figlia scapigliata dell’arrampicata sportiva e della video impaginazione, si capì che un mondo era finito per sempre e un altro spargeva immagini, colori, informazioni ed emozioni. Il buon giornalismo non poteva essere più affidato agli alpinisti, che giornalisti non erano, ma servivano dei professionisti capaci di capire, carpire e raccontare. Fu una svolta senza ritorno.
Pressati e in qualche modo aggrediti, anche se non andavano in edicola e non vivevano di soli abbonamenti e pubblicità, gli organi di stampa del Cai si adeguarono parzialmente, soprattutto Lo Scarpone, pur restando le voci di un club sostanzialmente slegato dallo spietato mondo della concorrenza. Nel frattempo nascevano altri giornali – Pareti, Meridiani Montagne, eccetera – e la comunicazione della montagna straripava nei siti internet, dove ognuno crede di essere giornalista ma il buon giornalismo è merce sempre più rara e astratta. Intanto la Rivista – non più “mensile”, non più solo per i soci – si permetteva il lusso di andare in edicola, e Lo Scarpone andava invece on line, come si addice ai notiziari che hanno bisogno di correre dietro alla notizia. Intanto impazzava il web, chiudevano le testate storiche e la Rivista – paradossalmente – si ritrova a essere l’unico periodico non monografico chiamato a parlare di montagna a tutto tondo, senza concorrenti, proprio come una volta.
Enrico Camanni