La coltura del castagno in Valle di Susa ha ricoperto per secoli un ruolo chiave per la sopravvivenza della popolazione, e percorrendo i versanti della Valle si può notare ancora oggi come la presenza del castagno sia quella dominante tra le varie essenze legnose. Ma le condizioni attuali dei castagneti da frutto si dividono attualmente in due tipologie distinte: gli impianti puliti e coltivati dove i castagni, anche secolari, sono rigogliosi e produttivi, e le zone abbandonate dove è ben visibile il degrado di cui soffre buona parte del bosco valsusino.

Le origini della castanicoltura in Valle di Susa risalgono al XII secolo quando, con l’aumento della popolazione, si ha la necessità di disporre di un alimento ipercalorico e facilmente coltivabile. Gradatamente gli impianti di castagno da frutto sostituiscono i boschi di quercia, faggio e frassino favoriti dalla loro capacità di istallarsi su terreni acidi e poco compatti come i macereti di gneiss e i depositi misti di morena. Le colture si collocano principalmente dal fondovalle fino ai 1000 metri di quota, espandendosi dalle Chiuse di San Michele ai Comuni di Exilles e Salbertrand situati in alta Valle. Fino al XX secolo la produzione rimane totalmente rivolta all’autoconsumo e a qualche caso di commercio con la pianura; successivamente, con l’espandersi delle vie di comunicazione, in particolare la rete ferroviaria, la castagna valsusina viene esportata verso la Francia, l’Inghilterra, e persino gli Stati Uniti e il sud America. Durante gli anni dei due conflitti mondiali la mancanza di manodopera e le stesse vicende belliche portano al declino progressivo della coltura del castagno, i boschi diventano incolti e la produzione diminuisce con il conseguente fallimento delle ditte esportatrici e l’arresto dei commerci oltralpe, tanto che la produzione passa dalle 2.100 tonnellate degli anni Venti alle 500 degli anni Novanta. La ricostruzione degli anni ’50 e ’60 poi si rivolge per la maggior parte verso lo sviluppo industriale e porta al totale abbandono della castanicoltura. Solo negli anni ’80 il crescente interesse verso le aree montane e le produzioni di qualità porta a un iniziale recupero dei castagneti. Negli anni ’90 il recupero della castanicoltura torna a essere un elemento di interesse anche per la Comunità Montana e gli enti predisposti che intraprendono opere di divulgazione quali sagre, incontri e momenti informativi. Questo interesse si è concentrato sulla varietà “Marrone”, considerata la più pregiata e tipica della zona.

Oggi, nonostante un buon recupero delle aree coltivate a Marrone, permangono zone abbandonate grazie prevalentemente all’impossibilità di accesso con mezzi quali trattori e macchine agricole; per quanto riguarda la conduzione attuale del castagneto si procede nella quasi totalità dei casi in modo tradizionale, alcuni castanicoltori hanno sperimentato con successo l’uso di macchinari per agevolare la raccolta quali macchine aspiratrici e macchinari per velocizzarne la cernita. I castanicoltori attuali, nella quasi totalità dei casi, sono pensionati che riprendono l’attività agricola lasciata in età giovanile; la presenza di giovani castanicoltori è limitata a pochi casi dove la castanicoltura è vista come un’integrazione di reddito rispetto alle altre attività stagionali. La valorizzazione del Marrone della Valle di Susa ha fatto un ulteriore passo in avanti con il conseguimento, nel 2010, del marchio Igp (Identificazione geografica protetta) concesso dall’Unione Europea; ciò ha offerto un’ulteriore protezione per quanto riguarda la commercializzazione e la tutela del prodotto. Queste agevolazioni hanno portato allo sviluppo di una rete di mercati volti alla promozione e valorizzazione dei prodotti tipici di Valle quali i mercatini a Km 0, l’iniziativa “Prodotti della Valle di Susa e Val Sangone” e l’itinerario gastronomico “Gustovalsusa e Valsangone”. Negli ultimi anni la castanicoltura ha subito una battuta di arresto con l’arrivo di un insetto dannoso, il Cinipide galligeno, che ha fatto registrare cali significativi di produzione. La lotta effettuata con l’immissione di un insetto antagonista nell’ultimo anno ha dato risultati positivi che lasciano ben sperare per un incremento e una continuazione della castanicoltura in Valle.
Alessandra Biglietti