Scegliere di vivere a Gressoney, ai piedi del Monte Rosa, non è mai stato facile; per i primi coloni si trattava di affrontare grandi migrazioni dai luoghi d’origine, fatiche immani per disboscare e ricavare campi e prati, canalizzare le acque, realizzare le vie di comunicazione, scegliere come rabdomanti l’angolo giusto in cui fondare un villaggio che potesse durare nei secoli. Fra il ‘600 e l’800 per vivere a Gressoney non bastava più la tenacia del colono. Le famiglie si erano spartite il territorio, e rigidi meccanismi di controllo sociale vegliavano sul fatto che le grandi case e i possedimenti rimanessero in mano alle famiglie che speravano così di garantire prosperità alla progenie futura.
Il mio mondo (di Federico Chierico nda) è quello dei primi anni 2000. Per me, giovanissimo turista, vivere ai piedi del Monte Rosa è stato un sogno figlio del mio tempo che ho deciso di inseguire dopo un’adolescenza passata come tanti in una città post-industriale dell’Alto Piemonte, a pensare a cosa studiare per trovare un lavoro e fare esperienze.
Nel 2007, esausto, decisi di uscire da questa narrazione postmoderna e iniziai ad inseguire il sogno del bambino libero. Nel 2014 iniziano le mie avventure più belle: nascono la mia bimba Beatrice e l’azienda agricola Paysage à Manger che nel 2016 si trasferisce a Gressoney per l’entrata in società di Federico Rial.
In pochi anni il nostro piccolo progetto agricolo è diventato una bella realtà del territorio. Grandi sono state le fatiche e i sacrifici condivisi. Con mia moglie e mia figlia iniziammo a cercare casa vicino all’azienda. Per me sarebbe stato il coronamento definitivo di un sogno. Vivere a Gressoney non sarebbe stato facile, ma ce l’avrei fatta. Continuavo a ripetermi che avevo superato innumerevoli ostacoli ed ero convinto che l’amore smodato per quella terra, le relazioni costruite ed il progetto lavorativo sarebbero stati la chiave. Non avevo però fatto i conti con un potere immensamente più grande della fatica, delle relazioni umane e dei retaggi culturali: il potere del “Dio Denaro”. Già, perché nel mondo in cui tutto ha un valore economico, anche il diritto a insediarsi, avere una casa dignitosa in un luogo come Gressoney, non si può ottenere né con la tenacia, né con il lavoro della terra, ma solo con moltissimo denaro, che io contadino con una moglie maestra non avrò mai. Dopo molti anni di tentativi, il mio sogno si è infranto qui, sul denaro, uno scoglio insormontabile; un mezzo che è diventato il fine di ogni cosa, il generatore che vince su tutto, sulle relazioni umane, sull’amore e forse anche sul futuro di questi luoghi meravigliosi, destinati a diventare paradisi per giovani ricchi turisti occasionali o anziani ricchi turisti stanziali.
A differenza di Federico Chierico, io sono nato e cresciuto a Gressoney (spiega Fderico Rial, nda), facendo alcune esperienze di studio fuori da questa valle, ma considerando sempre questa la mia casa. Tanto che nel 2015 ci sono tornato a vivere in maniera stabile, avviando l’azienda agricola Paysage a Manger con Federico. Ben presto la visione idilliaca che avevo del mio paese si è dovuta confrontare con problemi reali che, vista la mia situazione, non avevo mai considerato prima; uno su tutti, il riuscire a vivere a Gressoney. Essendo la mia famiglia originaria del luogo, noi una casa ce l’abbiamo, e così anche un alloggio per me e per le mie sorelle. Sono un privilegiato? Sicuramente sì, da questo punto di vista. Eppure continuo ad interrogarmi se questo sia il luogo nel quale voglio vivere la mia vita, perché soddisfatti i bisogni primari di una persona, come una casa e un lavoro dignitoso (non è stato semplice fare dell’agricoltura un impiego economicamente sostenibile), oggi sento la necessità di soddisfare anche altri bisogni, come quello di vivere in un ambiente sociale e culturale stimolante.
E se in contesti più grandi, come quelli cittadini, si possono trovare più facilmente gruppi di persone che condividano i nostri stessi interessi, qui il capitale umano è per forza di cose più ridotto. E allora il fatto che amici non trovino una casa, una sistemazione, per poter abitare questi luoghi, da loro scelti e ambiti, diventa un problema anche per noi residenti. Gli alloggi vengono affittati più volentieri ai turisti, a canoni stagionali alti rispetto all’offerta di servizi sempre più incerta e difficile da mantenere. Eppure si entra in un circolo vizioso: meno residenti, meno possibilità economiche di mantenere e offrire servizi, meno attrattività per vivere stabilmente in queste comunità.
In molte località alpine il conto con lo spopolamento lo si sta facendo ormai da tempo. Penso però al caso virtuoso di Ostana, che è stata ripopolata grazie agli sforzi e la volontà
del Comune, o alle case messe in vendita a 1 euro ad Albinen e in molti altri luoghi. Tutto già noto. Il mio personale appello è rivolto alle piccole località turistiche dove poco si bada ai problemi sociali, soprattutto quelli dei giovani e delle nuove famiglie che si vorrebbero insediare in questi territori: oltre al turismo, investiamo anche sulla comunità. Creiamo le condizioni affinché i giovani che vogliono restare o quelli che vogliono venire a viverci, possano farlo.
Come avviene anche nei contesti urbani, con l’edilizia convenzionata per esempio, che sarebbe buona pratica per il recupero degli edifici in disuso pubblici o di proprietà delle consorterie. Oppure incentivando i privati a prendere in considerazione questa opportunità, non per forza economica, ma di prospettiva per costruire assieme l’ambiente sociale del domani. Forse è di questo bisogno che dovremmo occuparci, invece di mettere tutto in vendita, comunità e futuro compresi.
Federico Rial e Federico Chierico
La foto finale non fa parte della comunità Walser di Gressoney .. ma bensì .. della val vogna .. della frazione Oro
Comunque per quanto riguarda l’articolo .. la penso come voi .. già da parecchi anni .. bravi