Grandi flussi di popolazione in movimento stanno cambiando profondamente il profilo del nostro paese, determinando squilibri fra aree sempre più densamente popolate e altre caratterizzate da una rarefazione crescente di presenza umana e di attività produttive. Una tendenza globale che ha preso nuovo vigore negli ultimi due decenni, e che porta con sé anche un mutamento sostanziale nel complesso sistema di rapporti fra le “cento” città e i territori circostanti che storicamente caratterizzano il nostro paese. Cambia non solo la relazione tradizionale fra nuclei urbani e aree rurali e agricole, riserva di materie prime e di energia, ma anche quella che è venuta configurandosi in epoca industriale, e che ha visto il territorio extraurbano trasformarsi in retroterra produttivo e poi residenziale di città sempre più vocate ai servizi. Infine, questa nuova rivoluzione demografica incide profondamente nelle relazioni fra le stesse città, che vanno polarizzandosi fra un sempre minor numero di luoghi estremamente attrattivi, e, di contro, un gruppo crescente di città che perdono popolazione e si trovano coinvolte in processi di marginalizzazione sociale, politica ed economica. Proprio per porre all’attenzione dell’opinione pubblica e della politica il tema della vulnerabilità delle città delle aree interne montane, si sono incontrati all’Aquila, nel cuore della dorsale appenninica, con il patrocinio della Fondazione IFEL dell’Anci, i sindaci di quattro città delle aree interne: Pierluigi Biondi (L’Aquila), Marco Fioravanti (Ascoli Piceno), Gianluca Festa (Avellino) e Alberto Bellelli (Carpi). I quattro sindaci hanno discusso e proposto la “Carta dell’Aquila”, un manifesto che prova a trasformare la fragilità territoriale in capacità di sviluppo e innovazione, tanto a livello di politiche locali che nazionali. Un originale contributo in grado di rafforzare la riflessione sul rapporto fra poli e aree marginali promossa dalla Strategia Nazionale Aree Interne, in una fase di suo profondo ripensamento, nel quadro del dibattito finalizzato alla definizione delle azioni nell’ambito della programmazione 2021-2027 della Politica di Coesione.
La “Carta dell’Aquila’’ vuole rappresentare un primo passo in questa direzione e si propone, innanzi tutto, di attivare una rete di costante collaborazione tra le città delle aree interne dell’Appenino centrale, che si confrontano quotidianamente con i problemi legati alla “tenuta” dei territori. Una collaborazione che potrà essere estesa ad altre città del territorio nazionale che vivono le stesse emergenze. Nel capoluogo abruzzese, dove è stata ampiamente illustrata, hanno parlato i protagonisti di alcune esperienze di rilancio di territori colpiti da calamità naturali. In primis il sindaco dell’Aquila, Pierluigi Biondi, che ha sottolineato il ruolo della formazione e delle competenze, che devono trovare adeguato sviluppo nelle città medie, anche in collaborazione con l’università. Come ad esempio, nel caso del capoluogo abruzzese, il Gran Sasso Science Institute, che opera su temi strategici, quali innovazione, sviluppo e calamità naturali.
Nel documento sono raccolte le quattro sezioni proposte delle città per invertire i fenomeni di depauperamento demografico e socio-economico dei territori, articolate in interventi di “sistema” città-aree periferiche: la prima è una fiscalità di vantaggio a sostegno delle imprese e delle famiglie, iniziative di welfare e misure specifiche per rigenerare il patrimonio pubblico, il sistema delle acque e delle foreste. La seconda sezione si concentra sulla valorizzazione del rapporto città-aree periferiche per promuovere uno specifico Programma nazionale in grado di migliorare anche la capacità di attrazione dei fondi comunitari. La terza affronta il tema delle infrastrutture di connessione, soprattutto con le aree più urbanizzate, indicando la necessità di potenziare le linee ferroviarie e il completamento delle opere stradali per il trasporto su gomma. Infine, nella quarta sezione, viene indicata la promozione dei centri di competenza di livello nazionale in collaborazione con le università, la valorizzazione delle esperienze dei comuni, nonché l’offerta di nuove opportunità attraverso lo sviluppo della generazione di imprese 4.0.
Dalle proposte si evince un quadro di politiche e azioni concrete, da condividere con i diversi livelli istituzionali, a partire dalle Università e dalla Pubblica Amministrazione, che hanno l’obiettivo di trasformare le città appenniniche in “hub” di competenze al servizio dei territori limitrofi, fulcro di un’innovativa “Smart Area’’, fondata su quattro assi principali: cultura, formazione, innovazione e turismo.
Si tratta, come viene sottolineato nel manifesto, di mettere a frutto innanzitutto l’esperienza maturata affrontando la vulnerabilità territoriale, dalle emergenze sismiche, che hanno spinto a innovative tecniche di ricostruzione, al degrado artistico ed economico. Vulnerabilità che hanno contribuito allo sviluppo dell’innovazione, della sicurezza dei cittadini e della valorizzazione dei beni culturali. Secondo Enrico Borghi, Consigliere per la Montagna del ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia, per le città delle aree interne e montane vigono gli stessi limiti strutturali, gli stessi handicap permanenti che affliggono le terre alte italiane: maggiori costi strutturali per erogazione di servizi e realizzazione di infrastrutture, minore capacità fiscale per abitante rispetto alle città metropolitane, difficoltà di raggiungimento delle economie di scala per servizi complessi. «Esse – spiega Enrico Borghi – sono i luoghi in cui si organizzano i servizi essenziali e di base per i territori circostanti, fatti quasi sempre di comuni di piccole o piccolissime dimensioni che singolarmente non riescono a gestire in maniera autonoma l’erogazione di questi servizi stessi. Per questo appare necessaria una politica dedicata, che tenga conto di questa peculiarità».
«Le città di montagna – conclude l’onorevole Borghi, riflettendo proprio sulla “Carta dell’Aquila’’ – hanno un ruolo chiave nel disegno di autonomia differenziata al quale stiamo pensando. Nelle aree urbane, il tema della adeguatezza funzionale viene risolto dalla presenza delle Città Metropolitane. Nelle aree rurali e montane, l’estrema frammentazione comunale pone il tema del livello istituzionale adeguato sul quale centrare il concetto di perequazione, sia fiscale che infrastrutturale, che per noi è alla base dell’autonomia.”
Nel quadro generale della costruzione di un disegno per il futuro del nostro paese, si impone una riflessione, come quella che propone la “Carta dell’Aquila’’, che non si concentri solo sulla competizione tra metropoli globali, ma sul ruolo delle città medie e intermedie, vera spina dorsale del nostro paese, e che guardi anche nello specifico a quelle situate nelle aree montane, finalizzata all’individuazione di politiche integrate, in grado di cogliere le reciprocità e di incentivare scambi virtuosi, poiché lo sviluppo e le sorti delle aree interne e delle città sono strettamente legati.
Filippo Tantillo e Giulia Valeria Sonzogno (dottoranda di ricerca in Urban Studies and Regional Science al Gran Sasso Science Institute, L’Aquila)
Concordo con la necessità di una strategia appenninica integrata per le aree montane interne, ma è necessario avere ben presente che lo sviluppo e la salvaguardia sono fattori strettamente connessi, non antitetici.
Non può esserci sviluppo senza un’efficace comprensione dei valori e dei significati dei luoghi, altrimenti il turismo si riduce a enogastronomia e a banale consumo di territorio.
L’Appennino ha tra le proprie risorse una ‘wilderness’ che va preservata con attenzione e cura, perché ciò che oggi può sembrare poco sviluppato è in realtà il principale motivo di attrazione.
Priorità individuate da tempo, mai un progetto che ne declinasse strategie, risorse e tempistica.