Sempre più spesso tra le varie esperienze del turista che frequenta le terre alte – possibilmente in qualche valle secondaria o cieca – vi è l’incontro/scontro con i ruderi di un’era montana che, nei fatti, è ormai trascorsa: la roboante stagione del turismo di massa.
Alberghi “moderni” dal perlinato ingrigito, giganteschi residence multipiano affacciati su prati solitari, skylift e seggiovie un po’ arrugginite che cigolano al vento: tristi – perché vuoti e abbandonati – monumenti di un’epoca che non c’è più. Rucas a Bagnolo, Monte Moro a Frabosa Soprana, Pian Munè e Crissolo in Valle Po: luoghi che, anche quando gli impianti sciistici sono ancora funzionanti, appaiono derelitti e sovradimensionati per turisti che sono scappati da decenni.
In seguito alla crisi del modello di turismo dello sci di massa, buona parte del patrimonio edilizio risulta a oggi non essere utilizzato e versa in condizioni di abbandono. Dopo la stagnazione del tradizionale modello di turismo legato alla pratica dello sci, sembrano ora configurarsi nuove forme di ricettività, indirizzate a un’utenza più diversificata, per le quali la pratica degli sport invernali non costituisce più l’unico fine ma solo una parte dell’offerta possibile, con un particolare riguardo alle strutture per il relax, il benessere e la cura del corpo.

Ma che fare di questa ingombrante eredità del passato?
Qualsiasi ipotesi di riuso o di rifunzionalizzazione va valutata caso per caso a seconda della tipologia dell’edificio preso in considerazione, della sua posizione rispetto ai centri abitati limitrofi e della sua accessibilità: si raggiunge in auto o si trova isolato in mezzo ai campi da sci?
Il patrimonio edilizio legato al turismo invernale è costituito da innumerevoli tipologie architettoniche, alcune delle quali difficilmente riconvertibili: stazioni e impianti di risalita ad esempio, ma anche i grandi complessi residenziali o ricettivi realizzati per ospitare un numero molto elevato di utenza. Si pensi poi a tutte le sistemazioni esterne e degli spazi aperti connesse con l’attività sciistica che da opere reversibili e provvisorie acquisiscono poi un carattere di permanenza: recinzioni, strade di servizio, opere di consolidamento, ecc.
A seconda delle risorse disponibili e delle progettualità possibili si possono dunque aprire scenari molto differenti, che anche dal punto di vista architettonico acquisiscono significati alquanto diversi.
Alcuni di questi scenari sono già visibili in alcune situazioni determinate, altri rappresentano invece delle future possibilità.

Scenario 1: archeologia sciistica
La scarsa disponibilità di risorse, il totale cambiamento delle condizioni economiche al contorno, la ritrazione di ogni tipo di risorsa non permettono nessuno tipo di riutilizzo del manufatto che rimane abbandonato, visto che non è generalmente possibile praticare la totale demolizione e il ripristino dell’assetto paesaggistico originario.
La contemplazione di tali rovine è dunque l’unica azione possibile. I resti delle strutture diventano la testimonianza di una stagione dell’oro che ora non c’è più, meta di escursionisti romantici o ancora passatempo dei ragazzini che lasciano scritte sui muri, giocano con le pistole ad aria compressa e consumano i davanzali per via delle loro acrobazie con le moto da trial.

Scenario 2: presidio dei territori d’alta quota
Si opta per una rifunzionalizzazione low cost dei manufatti presenti. Parti dell’edificio possono essere riutilizzate per funzioni legate alla fruizione dei territori d’alta quota: posto tappa, foresteria, piccola ristorazione, con attenzione alla stagionalità e alle nuove ed emergenti attività turistiche e sportive legate alla montagna come escursionismo, mountain bike, scialpinismo, ciaspole, parapendio, ecc. È un atteggiamento che basa il recupero delle architetture e di un luogo attraverso la creazione di un diverso e nuovo mercato di riferimento.
Una strada simile è stata intrapresa in questi anni, ad esempio, dal complesso sciistico cuneese del Mondolè Ski (Artesina, Frabosa e Prato Nevoso) che ha aperto le proprie strutture sciistiche anche ad altre attività di nicchia come il bob sull’erba (in periodo estivo). Sempre a quest’ottica low cost si rifà il recente rilancio della stazione di Crissolo, in Valle Po, che ha deciso di trasformare il risparmio nelle spese di manutenzione (battitura delle piste) in potenzialità presentandosi come una delle migliori località turistiche per chi ama sciare in neve fresca senza dover per forza pratica lo sci-alpinismo.

Scenario 3: turismo total
Prevede il ripristino delle funzioni originarie nell’ambito di politiche turistiche per il rilancio delle stazioni di sci. In questo caso attenzione va però posta su un’offerta diversificata sia dal punto di vista delle possibili attività – con spazi wellness, sale per attività alternative (arrampicata, gioco, ecc.), flessibilità negli spazi della residenza per intrecciare utenze diversificate (famiglie, coppie, giovani, scolaresche, gruppi organizzati, ecc.) – sia dal punto di vista dei differenti periodi dell’anno per evitare il problema della “bassa stagione”, adattandosi alle diverse attività che si possono praticare nei diversi periodi dell’anno. Questa strada è anche quella perseguita da numerose grandi stazioni sciistiche tuttora attive – si pensi ad esempio a Pila in Valle d’Aosta – ad integrazione della consueta attività invernale.

Scenario 4: eliminazione total
L’ultimo scenario riguarda infine la possibilità di eliminare totalmente le stazioni sciiistiche dismesse – in particolare gli impianti di risalita – e rinaturalizzare le pendici montane. Sebbene si tratti di una proposta molto vicina a quella del primo scenario, viene in realtà messa al fondo perchè comporta spese uguali, se non superiori, al terzo scenario.
Questa strada si rifà alle proposte avanzate dalle associazioni Cipra, Pro Natura Piemonte, Pro Natura Lombardia, Mountain Wilderness e Montagnard, a seguito dei recenti censimenti sugli impianti sciistici abbandonati di Piemonte e Lombardia (curati da  Fabio Balocco, Francesco Pastorelli, Mirko Sotgiu, Alessandro Dutto, Alessandro Gaido). Tali proposte generalmente propongono di legare al contratto di concessione di un nuovo impianto una somma X da bloccare in una banca e da utilizzare eventualmente per lo smantellamento dell’opera, nel caso che la sua utilità venga meno. In Piemonte esiste addirittura una apposita norma sui siti degradati (art. 12 L.R. 32/1982), che potrebbe essere utilmente utilizzata per ripristinare questi territori e ridargli una dignità. Questo scenario si porta però dietro il problema delle opere contigue agli impianti sciistici. Che fare infatti degli edifici legati alla ricettività (alberghi, seconde case, residence) sorti molto spesso nelle immediate vicinanze degli impianti di risalita e ad essi legati in simbiosi?

Si tratta ovviamente di scenari tutt’altro che definiti, che aprono a nuove questioni ogni qualvolta vengono analizzati più nel dettaglio ma che portano avanti tutti la stessa questione: la necessità di definire un piano consapevole (o per lo meno un programma) per il patrimonio edilizio alpino legato allo sci.
Roberto Dini e Mattia Giusiano