Il 23 ottobre 2013 ricorrerà l’anniversario dei 150 anni di fondazione del Club alpino italiano. Il sodalizio vede la luce nella capitale subalpina appena due anni dopo la nascita del Regno d’Italia (17 marzo 1861). La creazione di associazioni alpinistiche nella seconda metà dell’Ottocento (ad iniziare dall’Alpine Club di Londra, 1857) rappresenta l’ultimo atto di un processo di graduale esplorazione della montagna e di “invenzione delle Alpi” che si origina fra le élites intellettuali urbane europee del Settecento e si concretizza con la salita al Monte Bianco (1786) del medico Paccard e del valligiano Balmat. Il primo atto – l’esplorazione scientifica – scaturisce dal milieu culturale ginevrino (Horace-Bénédict de Saussure), preceduto dalle attenzioni letterarie di studiosi svizzeri come Jakob Scheuchzer, Albrecht von Haller, Jean Jaques Rousseau e Salomon Gessner. Dal mito elvetico delle Alpi, costitutivo dell’identità rossocrociata, si passa successivamente al mito vittoriano della sistematica salita delle vette. Il Cai si ispira a quest’ultima rappresentazione, ma con una propria originalità collegabile alle vicende dell’unità nazionale. Il Monviso, montagna simbolo del sodalizio raggiunta dagli inglesi nel 1861 e 1862, per i padri fondatori del Cai assume il significato di un’icona politica, oltre che alpinistica.

Prima associazione a carattere nazionale, il Club alpino di Torino segue le vicende storico-politiche del Paese e diviene lo specchio riflettente del costume nazionale. Nel contesto dell’associazionismo alpinistico maturano differenze di sensibilità e di aspettative, già fin dalle origini. Arrivando ai giorni nostri, il Cai si trova a confrontarsi con un clima sociale e culturale in rapida trasformazione. L’andare in montagna, in senso ludico e ricreativo, si lega sempre più strettamente alle problematiche dei territori di montagna. L’esplorazione e la descrizione delle terre alte si sposta dall’orizzonte oggettivo della scoperta a quello soggettivo dei vissuti psicologici dei frequentatori. Atteggiamenti nuovi, alimentati da una crescita esponenziale della “sportivizzazione estrema”, di un tecnicismo fine a se stesso e da comportamenti di consumo che alterano la relazione spazio/tempo, trovano un contraltare nei nuovi bisogni di lentezza, di eco-sostenibilità, di riscoperta socioeconomica della montagna. Sembra un dilemma dal quale è difficile uscire. Non vi è dubbio che un’ambivalenza di fondo caratterizza, dalla nascita, l’associazionismo alpinistico. Da una parte si collocano gli alpinisti classici, oggi sempre più lontani dai nuovi arrampicatori sportivi, dall’altra gli escursionisti orientati verso una diversa filosofia dell’«andar-per-monti». Tuttavia, come dimostrano molte recenti ricerche condotte da “Dislivelli”, nella società italiana stanno emergendo bisogni di “montanità” inaspettati, palesemente in controtendenza nei confronti dei fenomeni di abbandono del secondo dopoguerra. Parlare di “montanità” significa porsi entro un orizzonte interpretativo che vuole andare oltre la “riserva indiana” di una montagna «terreno di gioco», del tutto svincolata dagli imperativi dell’abitabilità. Alla luce di tali trasformazioni, il Cai sarà chiamato in futuro ad intercettare queste nuove istanze ed a svolgere, se lo vorrà, ruoli importanti per superare la tradizionale distinzione fra ospiti e abitanti della montagna. La fissità di tali ruoli si sta rapidamente disgregando. Da un lato registriamo la formazione di nuovi montanari per scelta, che rifiutano i modelli urbani, dall’altro la disaffezione dei montanari tradizionali nei confronti dei loro territori. La sfida del ritorno alla montagna passa attraverso le scelte che i decisori politici vorranno fare in funzione del mantenimento o della ricostituzione di vitali presidi territoriali. Essi sono, ad esempio, i piccoli comuni, le comunità valligiane, gli Enti intermedi di media grandezza. E’ pura miopia guardare ai piccoli comuni di montagna nell’ottica della mera densità demografica anziché dell’estensione territoriale. Il Congresso Nazionale del Cai, svoltosi a Predazzo nell’anno 2008, ha posto al centro delle future politiche associative il tema di un Club alpino “sentinella della montagna”. Per avvicinarsi a questo ambizioso traguardo occorre un patto incentrato su di una nuova alleanza fra città e montagna. C’è bisogno di un Cai disposto a diventare movimento di opinione nel promuovere e sostenere le future politiche per una montagna da vivere nella normale quotidianità.
Annibale Salsa