La Compagnia del Buon Cammino riflette un modello di esperienza della montagna sostenibile, ecologico e solidale in crescita, ma ancora marginale rispetto all’industria dello sci alpino. Da cosa partiresti tu, Ermanno Bessy, per costruire un’alternativa utilizzando una parte delle risorse pubbliche destinate agli impianti di risalita?
«Da un’analisi oggettiva della situazione attuale: in fondo, basterebbe che il pubblico facesse per una volta ciò che è normale amministrazione per un privato e si dedicasse a un accurato esame costi-benefici in materia di investimenti e ritorno economico. Quanto, dove e come ho investito per incentivare la fruizione della montagna? Dove ho ottenuto un riscontro positivo, ovvero in quali casi i finanziamenti pubblici hanno beneficiato la collettività e quando sono andati essenzialmente a beneficio di pochi privati? Personalmente, l’impressione è che gli investimenti nello sci da discesa abbiano privilegiato il settore immobiliare, più che lo sport in sé. È mancata quella ricaduta positiva tipica di un’impresa sana, che si serve dei fondi pubblici per rilanciarsi, guadagnare e reinvestire sull’insieme del territorio.
Questa analisi preliminare dovrebbe tener conto anche di due trasformazioni in corso. La prima di carattere meteorologico: l’aumento delle temperature che darà il colpo di grazia alle stazioni di media quota, spostando lo sci sempre più in alto. La seconda trasformazione, invece, è antropologica: sono cambiati i frequentatori della montagna. Rispetto al passato c’è disamore verso lo sci da discesa: è caro e si svolge in contesti urbanizzati che piacciono sempre meno. Non si parla più di turisti che vedono la montagna in un’ottica prestazionale, ma di cacciatori di emozioni in cerca di un’esperienza autentica dell’altrove alpino, di visitatori consapevoli che chiedono spazi incontaminati e natura intatta».
O, perlomeno, pretende che gli uni e gli altri siano ben conservati! Quindi, in base alle analisi e alle trasformazioni che hai evidenziato, quali sono le priorità per cambiare rotta?
«Spostare fin da subito, ma gradualmente, le risorse dagli impianti di risalita ai comprensori cordless – località di montagna “senza fili”, dove si sale con le gambe e si gusta la montagna con lentezza, come la Val Maira. Non dico che debba esserci un’immediata parificazione degli interventi pubblici fra stazioni sciistiche tradizionali e comprensori cordless, ma alcune cose sono senz’altro improcrastinabili. Una stazione cordless deve poter disporre di servizi essenziali, come la banda larga e uffici turistici di nuova concezione. Bisogna passare dall’idea di un ufficio che passa informazioni a quella di un ufficio che fa animazione del territorio, senza proporre intrattenimenti legati a modelli urbani, ma piuttosto narrazioni del territorio attraverso escursioni accompagnate, esperienze enogastronomiche, culturali, artistiche. È un cambiamento per cui non siamo ancora preparati, che funzionerà tuttavia da formidabile fattore di selezione: sopravvivranno solo gli operatori turistici più attenti e dinamici, che sapranno guardare più lontano e anticipare gli eventi, o per lo meno, correre ai ripari in tempo. Gli amministratori e la politica arriveranno soltanto a cose fatte».
Quale strategia di investimenti proponi per agevolare il passaggio da un modello turistico all’altro?
«Trent’anni fa avrei parlato di infrastrutture, oggi non più: abbiamo troppo di tutto, troppe strade, troppe case, troppi “indispensabili” campi da pallone invasi dalle erbacce. Punterei sul ripristino e sulla conservazione dell’ambiente e del paesaggio naturale e culturale. Ogni nuova attività turistica non può che essere green, attenta al risparmio energetico e alla sostenibilità. Visto che le strade le abbiamo, l’obiettivo diventa sul percorrerle sempre meno con l’auto individuale. Ma tutte queste linee di strategia appena abbozzate, sarà solo il mercato a trasformarle in realtà».
Come dire Ducunt volentem fata, nolentem trahunt: il futuro è sweet’n’green, l’unica vera scelta è fra cavalcare l’onda o lasciarsi sommergere.
Irene Borgna
da più di 20 anni passiamo il mese di luglio in Val Maira (Acceglio, Prazzo Superiore), che apprezziamo a amiamo per la sua natura selvaggia e priva della confusione e straniamento propri di tante stazioni turistiche più conosciute. Abbiamo percorso tutti i sentieri che portano ai colli di fondo valle (Bellino, Enchiausa, Gardetta, Oserot, Sautron ecc.) Però finora non abbiamo visto aumentare se non di pochissimo quei “servizi essenziali di una stazione cordless” di cui si parla nell’articolo. Avendo ormai purtroppo raggiunto la soglia degli 80 anni, e dovendoci limitare a mete meno impegnative, saremmo contenti di trovare delle strutture adatte alla nostra condizione attuale, come potrebbero essere quelle di cui parlate.