Malonno, alta Val Camonica. Mi incontro con Matteo Calzaferri, classe 1987, che dopo la laurea in Ingegneria meccanica a Torino e un periodo di distacco dal suo paese natio, ha deciso di tornarci a vivere e intraprendere una serie di attività innovative nel solco della tradizione agricola locale: aprire un birrificio e coltivare cereali rustici di montagna con cui produrre la propria birra.
Matteo, qual è stato il tuo percorso? «Durante il triennio di università a Brescia la settimana volava via tra le lezioni, lo studio, le uscite infrasettimanali con gli amici e la possibilità di tornare a casa tutti i fine settimana. All’epoca immaginavo che dopo la laurea sarei andato a vivere e lavorare all’estero. Quando, poi, sono andato a fare la specialistica a Torino la mia percezione è diventata molto diversa: tornavo a casa solo una volta al mese e soffrivo il fatto di stare lontano dal mio paese, dalle mie montagne, da amici e famiglia. Lì ho capito che avrei voluto tornare a vivere e lavorare in Val Camonica. E la fortuna ha voluto che, a soli due esami dalla laurea, ho trovato lavoro qui in Valle, a Pisogne, dove una grossa azienda che produce serrature cercava un ingegnere progettista. È un lavoro che mi piace. L’ingegneria meccanica mi ha sempre entusiasmato».
Com’è nata la tua passione per la birra? «È nata mentre ero all’università, quando studiavo a Torino. Sono sempre stato appassionato di birra, senza mai però chiedermi come venisse prodotta, sicché parlando con un mio coinquilino ci è sorta la curiosità di documentarci e poi acquistare il kit per l’autoproduzione casalinga. Vivevamo in una piccola e vecchia casa: ricordo che al mattino, appena svegli, sentivamo il profumo della fermentazione! Tornato a vivere a Malonno, coinvolgendo alcuni amici ho costruito un piccolo impianto nel garage di casa dei miei dove per alcuni anni ci siamo autoprodotti birra partendo da zero, macinando i malti e seguendo il processo artigianale di cottura. Negli anni, questa passione è cresciuta sempre più, fino a condurmi a fondare, nel 2016 e assieme a cinque amici, la società ‘Bèpete Bam’, acronimo di ‘Birrificio Artigianale Malonnese’. Attualmente l’azienda è in gergo una ‘beer firm’, che si appoggia ad un altro birrificio per la trasformazione: il birrificio Dom Byron di Albino, in Val Seriana, con cui ci siamo trovati in sintonia e abbiamo avviato una buona collaborazione. L’obiettivo è di renderci man mano autonomi, compatibilmente con gli impegni di lavoro di ciascuno».
Cosa significa Bèpete? «Il nome nasce dall’unione e dalla contrazione degli scütüm (i soprannomi) degli abitanti di Malonno, detti ‘bène’ (i carretti a due ruote trainati da un cavallo o da un mulo, un tempo utilizzati sulle medie pendenze per il trasporto di letame e derrate agricole) e di quelli della frazione malonnese Lava, detti ‘petè’ (i pettegoli perché, vivendo nel fondovalle, avevano più possibilità di comunicare con gli altri paesi e, quindi, di venire a conoscenza di notizie provenienti dall’esterno). Un’unione di nomi che rappresenta il nostro paese, per cui nutriamo un grande amore».
L’altra grande passione di Matteo è la coltivazione dei cereali di montagna, ingiustamente definiti “minori” dopo l’introduzione dell’agricoltura intensiva di pianura, della meccanizzazione e di varietà di frumento e di mais selezionati in laboratorio per favorirne la mietitura, la resistenza ad alcune patologie e, non da ultimo, la resa. Ma segale, frumenti rustici, orzo vernino e primaverile hanno sfamato, assieme a patate e fagioli, intere generazioni di montanari camuni e non solo: l’ampiezza della Val Camonica, di andamento nord-sud, e la dolcezza dei pendii prossimi al fondovalle esposti ad est hanno favorito, nei secoli, l’opera di terrazzamento con muri a secco e terrapieni per la coltivazione di cereali e ortaggi che, grazie alla selezione naturale operata nei secoli, hanno sviluppato condizioni genetiche di buona adattabilità alle alte quote e al clima rigido. Racconta Matteo: «Da tre anni io e i soci di Bèpete abbiamo reintrodotto la coltivazione su piccola scala di alcune varietà di segale, orzo e frumento dopo che da alcuni decenni nessuno li coltivava più. La nostra aspirazione è quella, col tempo, di ampliare le nostre coltivazioni e di utilizzare questi cereali per la produzione della nostra birra. Vedendoci coltivare con passione, molte persone del posto ci hanno proposto l’uso dei propri terreni e, quindi, siamo fiduciosi di poter raggiungere il nostro obiettivo. Attualmente nella frazione di Loritto a 1000 metri di altezza coltiviamo la segale, che ben si adatta alle alte quote. Abbiamo seminato contemporaneamente alcune varietà rustiche come quella valtellinese avuta da Patrizio Mazzucchelli di Raetia Biodiversità Alpine, quella ritrovata presso un anziano di Monno, la varietà detta ‘Leonessa’ dai chicchi particolarmente grossi: il risultato è stato un raccolto abbondantissimo, il doppio rispetto a quello ottenuto con la semina della sola segale valtellinese. In appezzamenti più bassi, come in località Ruc, abbiamo seminato orzo nudo primaverile, un orzo vernino ritrovato a Vezza d’Oglio e un miscuglio di frumenti tra cui, per mera curiosità, il grano Senatore Cappelli nonostante questa non sia propriamente una zona vocata a quella varietà. Per ora, visto che gli appezzamenti sono piccoli e distanti tra loro a causa dell’estremo frazionamento fondiario che caratterizza la montagna italiana, lavoriamo tutto a mano: mietiamo col falcetto, battiamo la segale col correggiato, il flèl, mentre per orzo e frumenti abbiamo recuperato una piccola trebbia stanziale azionata da un motorino. In futuro, quando avremo più campi a disposizione, ci piacerebbe acquistare un trattore per svolgere le diverse operazioni in campo».
In attesa di quella prodotta con i vostri cereali, oggi che birra proponete? «’Ale Formét’ è la nostra prima creazione: è una birra ad alta fermentazione da 5,4 gradi alcolici, prodotta con malto d’orzo e di frumento, non filtrata, non pastorizzata e rifermentata in bottiglia. ‘Formét’ è il nome dialettale malonnese del frumento, una delle principali coltivazioni antiche dell’intera Valle Camonica, mentre ‘Ale’ oltre ad indicare la grande famiglia delle birre ad alta fermentazione può anche significare gioia e felicità come ‘Evviva!’, ‘Urrà!’. L’ultima nostra creazione è la birra ‘#Mrb’, acronimo di ‘Mountain Runners Beer’ e dedicata, appunto, alla corsa di montagna. A bassa gradazione alcolica, leggera e rinfrescante è l’ideale per brindare e rilassarsi dopo le fatiche della corsa. La cosa interessante è che è interamente realizzata con la segale prodotta in Val Camonica. Il nostro prossimo obiettivo è di creare una birra interamente prodotta con il nostro orzo, di cui speriamo di produrre a breve qualche quintale. Poiché tutti noi svolgiamo un altro lavoro dobbiamo però ragionare per piccoli passi e per ciò che è nelle nostre possibilità. Vedremo se, col tempo, Bèpete potrà diventare una realtà economicamente più solida».
Dopo aver reintrodotto dopo tanto tempo la coltivazione dei cereali, come è stata la reazione dei vostri compaesani? «Il fatto di essere del posto, rispetto a uno che viene da fuori, ci ha sicuramente aiutati sia nell’accettazione della ‘novità’ che nell’offerta spontanea di terreni in abbandono, da pulire e da coltivare, per quanto di piccole dimensioni o distanti tra loro. Le osservazioni che ci riservano riguardano piuttosto i metodi di lavorazione del suolo innovativi rispetto alle tecniche tradizionali del passato: evitiamo arature profonde preferendo una semplice fresatura superficiale per non compromettere troppo la fertilità del terreno; spesso fresiamo solo la striscia di terreno adibita alla semina a file anziché a spaglio, tecnica che ti costringe a mietere anche tante erbe spontanee; eseguiamo la ‘pacciamatura verde’ col trifoglio che ha anche la funzione di restituire azoto al terreno, preferendola alla letamazione; utilizziamo la paglia dei nostri cereali triturata non tanto per pacciamare come è in voga oggi – la piovosità e l’umidità delle nostre zone favorisce la proliferazione di limacce sotto pacciame – ma come concime».
È una passione che richiede molto impegno e dispiego di energie, spesso difficilmente conciliabile con il proprio lavoro. «Vero, ma la fatica è ripagata da tante soddisfazioni, come il fatto di poter mangiare cibo sano e autoprodotto, di cui si conosce la storia e di cui si è osservata la crescita e la maturazione, si sono seguite la conservazione, la trasformazione e la cottura della materia prima: farsi pane e pasta coi propri cereali è una cosa impagabile! In estate, non appena torno dal lavoro mi fiondo nei campi: mi basta osservare le piante per ricaricarmi e ricevere energie positive. Il massimo sarebbe poter avere maggior flessibilità sul lavoro per potermi dedicare di più alle mie passioni. Come progettista, potrei fare da casa parte del lavoro, ma in Italia non è ancora molto diffusa questa cultura. Io sono comunque molto contento e orgoglioso di quello che stiamo facendo e che abbiamo messo in piedi. Vedremo quali saranno i passi futuri».
Michela Capra
Info: www.bepetebam.com