Ragazzi un po’ assonnati che, qualche ora prima dell’alba, si aggirano per le stanze della casa, magari con una tazza di caffè in mano. Se fossimo in città potrebbe sembrare la conclusione di una serata di movida esagerata: ma siamo in alpeggio, e per i ragazzi di cui vi parliamo il giorno (si fa per dire: deve ancora albeggiare) è appena iniziato, scandito dalla lunga lista delle cose da fare e dai ritmi degli animali e della montagna.
Cominciano così le storie che vi racconteremo sabato 19 settembre a Cheese nel Laboratorio del Gusto “Giovani casari italiani crescono”; gioie e dolori di chi ha abbandonato la vita cittadina nel fiore degli anni per riscoprire il valore degli antichi mestieri e il vero contatto con la natura. Vi raccontiamo le loro storie incuriositi da una scelta di vita che potrebbe suonare estrema, fatta di tanto duro lavoro certo, ma anche tante soddisfazioni! Il fil rouge di questi racconti è l’impegno: che si tratti di allevamento, agricoltura, raccolta di erbe spontanee o produzione di formaggi, l’attività artigianale riesce a tenere insieme senza strappi vite diversissime tra di loro. C’è chi viene da lontano, come nel caso di Agitu Idea Gudeta, ragazza che dall’Etiopia (da cui è stata scacciata in seguito al suo impegno contro il land grabbing) che si è stabilita in Trentino per salvare la capra pezzata Mochena dall’estinzione, ma c’è anche chi a vent’anni ha recuperato tradizioni tutte nostrane come ha fatto Ruben Lazzoni, che più di 10 anni fa, venticinquenne, decise di dedicarsi all’azienda agricola di Champremier, in Valle d’Aosta, dove vive con la sua famiglia. Oggi gli animali allevati da Ruben sono oltre cinquanta, per lo più capre di razza camosciata alpina, da cui ogni anno si ottengono sei tipi di formaggi diversi, dai Crottins, allo Champchevrette, fino al Corquet.

«Non è questione di essere giovani o vecchi», ci dice Roberta Lazzoni, compagna di Ruben, trasferitasi in alpeggio dopo gli studi di medicina veterinaria all’Università di Torino: «Il nostro settore dà da mangiare a tutti, riguarda tutti». A dire il vero la giovane età rappresenta spesso un pregio: i giovani malgari comunicano tra di loro e con il resto del mondo sfruttando i social network e le nuove tecnologie, aprono una finestra sul loro mondo pubblicando foto, video, impressioni delle loro giornate e si dimostrano sempre più elastici verso le innovazioni che possono contribuire alla loro attività. I problemi riguardano semmai l’organizzazione di queste piccole realtà, che in genere pagano di più di altre gli effetti della crisi e dei vuoti di potere amministrativi.
Spesso infatti il settore della lavorazione casearia artigianale patisce da un lato lo spauracchio di controlli sanitari poco flessibili, che rischiano di compromettere l’efficacia delle antiche tecniche di produzione, e l’assenza di istituzioni locali in grado di sostenere e rappresentare le istanze di casari, allevatori e agricoltori. A complicare le cose, un sistema di assegnazione degli alpeggi poco equilibrato, che spesso privilegia i grandi gruppi a discapito dei produttori artigianali; ma soprattutto una certa tendenza all’individualismo da parte dei malgari. «Spesso ti senti solo. Dovrebbe esserci più unione tra allevatori e agricoltori, più capacità di fare rete», ci ricorda Roberta; ed è fin troppo facile immaginare quale circolo virtuoso potrebbe innescarsi, se su scala nazionale si creasse una vera rete che unisca i malgari non solo tra di loro, ma anche con i comuni, i media, le associazioni e gli enti turistici e culturali locali, le scuole di tutti i livelli.
Il rapporto Cipra (Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi) dell’anno scorso evidenzia una partecipazione già in aumento dei giovani, soprattutto nelle aree a lingua tedesca; di recente la situazione è migliorata anche in Italia, ma è ancora molta la strada da fare: soprattutto se vogliamo fare in modo che i ragazzi possano non soltanto dire la loro opinione sull’amministrazione delle terre alte, ma anche partecipare attivamente alle decisioni che le riguardano.
Paolo Tosco, tratto da http://cheese.slowfood.com