Il medico di Benne, frazione nel comune di Corio (To) non può telefonare dal suo studio, per chiamare e ricevere deve andare in cortile. In alcune valli non solo è impossibile pubblicare un post ma anche telefonare, o peggio, chiamare i soccorsi. Mandare poi una mail la sera diventa un’impresa, basta un utente in più per bloccare tutto. A Rassa, nelle montagne della val Sesia si sogna il 2G, ma il top del disservizio è raggiunto dal comune di Sovicille (provincia di Siena) che è senza linea in tutte le sue nove frazioni. Questa è la situazione che condividono, o per meglio dire sopportano, molte località rurali e montane della nostra penisola. Secondo i dati del recente monitoraggio organizzato da Uncem nel solo Piemonte sono 200 i luoghi montani antropizzati in cui telefonare, mandare un messaggio e navigare in internet con il proprio smartphone è impossibile o quasi.
Le problematiche riguardanti il digital divide tra le aree metropolitane e quelle montane si possono ricondurre a tre aspetti rilevati: quello della tv che non si vede, sebbene si paghi il canone, della telefonia mobile che non prende e di internet che va a velocità risibili.
Per migliorare internet nella nostra penisola è nata la Strategia italiana per la banda ultralarga. La gestione delle così dette aree bianche, quelle aree geografiche dove gli operatori di mercato sono restii a fare investimenti, è stata appaltata a Open Fiber, società costituita da Enel con Cassa Depositi e Prestiti. Entro il 2020 i lavori devono essere conclusi e i fondi utilizzati – europei e statali – tutti rendicontati. Per quanto riguarda la telefonia mobile invece il 25 per cento del territorio italiano non è ancora coperto da segnale, sebbene il servizio telefonico in luoghi montani sia innanzitutto un fatto di sicurezza. E la tv diventa un miraggio ancora per troppi comuni rurali e montani.

E allora che fare? La soluzione è affrontare i tre limiti insieme: con l’arrivo della fibra ottica e il piano Bul infatti (piano nazionale per la Banda ultralarga) dovrebbe essere possibile avere soluzioni tecnologiche innovative anche per tv e telefonia.
Ma per colmare il divario con la città non basta la rete se poi non si sa come usarla. Una volta ultimati i lavori deve partire una forte azione culturale, politica e istituzionale esplicativa dei servizi che dovranno essere veicolati dalla nuova infrastruttura. I vantaggi per i singoli cittadini e per le aziende delle aree interne sono innumerevoli, a patto però che si sia capaci di riconoscerli e utilizzarli. Senza contare che le distanze tra i territori montani sono più sostenibili da tutti i punti di vista se si fanno viaggiare i “byte” invece della “materia”. Infatti, è possibile accedere ad una serie di servizi in rete, semplificando e migliorando le relazioni fra cittadini e Pubblica Amministrazione, fra studenti, scuole e università e aumentando la produttività e la competitività delle imprese, ma anche lavorare da casa attraverso il telelavoro e lo smart working. Come sostiene Uncem sarà fondamentale avviare un programma nazionale, all’interno dell’Agenda digitale, coordinato all’Agenzia Italia digitale (Agid), sulle “smart valley” e sulle “green communities” individuando nuovi servizi garantibili nelle aree montane e interne nei campi del trasporto, del turismo, della formazione, della sanità, del catasto, della comunicazione e del marketing territoriale.

Si tratta di opere infrastrutturali indispensabili a colmare il divario tra aree ricche urbane e aree povere marginali e la tecnologia in questo caso può fare molto per accorciare le distanze. Ammirevole è la determinazione con cui Marco Bussone, presidente Uncem, si sta impegnando per colmare il digital divide delle aree montane. Ma per il resto, ancora una volta per una sorta di ingiustizia territoriale, nel mondo dei decisori si osserva un silenzio assordante, quasi si continuasse a pesare i territori solo in termini di voti. Eppure proprio qui non è raro che si sviluppino nuovi talenti, più pronti che altrove a percorsi di sperimentazione che producono innovazione e sviluppo sostenibile.
Non va però dimenticato che, quando parliamo di sviluppo delle reti di telecomunicazione, parliamo di un settore a forte preoccupazione sociale – in montagna come altrove – per le possibili ripercussioni in termini di salute connesse con le esposizioni. Il problema si può affrontare e gestire con razionalità se si riesce a dar vita ad una Commissione indipendente in grado di approfondire tutti gli aspetti e le possibili conseguenze delle esposizioni, anche rispetto a nuove evidenze come quelle della “latenza” o dell’esposizione dei bambini. Una Commissione capace di prefigurare scenari del tutto inusitati che si vanno determinando anche dal punto di vista tecnologico.
Una rivoluzione così importante e utile merita un’attenzione diversa dal passato e con essa più studi di carattere sanitario non dimenticando gli aspetti paesaggistici e pianificatori, e, se occorre, domandandoci se ci sono alternative più rassicuranti rispetto alla tecnologia attuale. Perché non ci può essere innovazione tecnologica senza innovazione culturale a trecentosessanta gradi, che ponga in primo piano le implicazioni sociali e etiche.
Vanda Bonardo