Rifugio Maire, Casot Pra la funt, Casot Pra viei, Casot Brusà
Luogo: Vallone di Sant’Anna – Sampeyre (Cn)
Quota: 1850 m slm
Progetto: Arch. Stéphane Garnero, Prof. Ing. Enrico Desideri
Cronologia: 2005/2009
Fonte: 2MIX*archistudio 2012 – www.2mix.it
Il Vallone di Sant’Anna è un sito che nel tempo ha saputo trasformare la propria marginalità in punto di forza. La sua collocazione – perpendicolare alla Val Varaita e, di fatto, tagliata fuori dal corridoio vallivo principale di connessione con la Francia attraverso il Colle dell’Agnello – se da un lato è stata causa, in particolare nel secolo scorso, di un forte spopolamento, dall’altro ha permesso che la nutrita rete di borgate e baite di alpeggio poco risentisse delle trasformazioni insediative che stavano colpendo il fondovalle principale.
Inoltre, il mantenimento di una seppur minima attività di alpeggio e la presenza di una “storica” colonia estiva per ragazzi hanno fatto sì che questo luogo divenisse sempre più meta di chi voglia vivere una montagna autentica, lontana dal turismo di massa estivo e invernale delle vicine valli.
È in questo scenario che la famiglia Martino, attraverso la mano e il sapere dell’architetto Stéphane Garnero e dell’ingegnere Enrico Desideri, ha cominciato un lungo e meticoloso recupero del patrimonio edilizio esistente mirato a proporre un diverso modo di fare turismo. Non si voleva più soltanto presentare il classico soggiorno in albergo, con un trattamento “tutto compreso”. Si voleva piuttosto proporre una vacanza più partecipata, con delle abitazioni di varie dimensioni da vivere in modo personale e diverso a seconda del turista: così sono nate per i più coraggiosi le casette sparse nel vallone di Sant’Anna e isolate nella natura – i casot –, mentre per chi vuole una certa indipendenza senza abbandonare la comodità della grande struttura è stato costruito il rifugio alpino “Meira Garneri” nel Vallone Sant’Anna, che ha portato a 1850 metri le comodità di una moderna abitazione.
Sono questi tre casot – casot Pra la Funt, casot Pra Viei, casot Brusà – a destare particolare interesse in chi scrive perché, pur non trattandosi di interventi eclatanti, offrono con discrezione un interessante modo di interpretare le tradizioni costruttive locali e introdurre nuovi elementi compositivi che divengono il leitmotiv di tutti gli interventi: il complesso rapporto con il pendio, l’utilizzo di cornici per segnare le nuove aperture, l’alternanza di pietra a spacco e finiture in calce naturale. Scelte progettuali che paiono far propri gli insegnamenti di maestri dell’architettura alpina quali gli architetti Maurino, Momo e Gabetti e Isola.
In tutti e tre i casi si tratta del recupero di edifici montani abbandonati da anni, che vengono utilizzati per fini abitativi. Il corpo principale degli edifici, realizzato in pietra a spacco, viene ampliato, secondo la normativa, con un corpo laterale aggiunto, posto a una quota intermedia tra i due piani principali, dove sono collocati l’ingresso principale e i servizi. La distinzione tra l’ampliamento e la parte storica viene dichiarata con uno stacco in pianta e con l’uso di materiali differenti. Le aperture esterne, in gran parte di nuova realizzazione vista l’esiguità delle aperture storiche, riprendono alcuni aspetti della tipologia locale, integrandoli con forme e proporzioni innovative. I solai interni sono realizzati in struttura mista collaborante legno e calcestruzzo armato, per aumentare le capacità portanti e isolanti dei solai lignei. Le funzioni si sviluppano su tre piani distinti, tutti accessibili dall’esterno, vista la pendenza del terreno: l’ingresso è posto al piano intermedio di nuova realizzazione, nel sottotetto a vista si trova la zona giorno, mentre nel piano inferiore sono collocate le camere e altri servizi.
Roberto Dini, Mattia Giusiano