La montagna ancora una volta ha subito un durissimo colpo al suo sviluppo. Ancora una volta il “grande centro” vince sul decentrato, sul borgo. Ancora una volta bisognerà migrare verso la pericolosa valle cittadina, che su tutto rimane riferimento. Anche sulle politiche migratorie.
Nel 2011 Berceto si è mobilitata per l’accoglienza di 10 persone provenienti dalle coste italiane, sbarcate in condizioni fisiche e psicologiche difficili. La Croce Rossa e la comunità tutta si era mobilitata per portare supporto a queste persone. Era evidente fin da subito che bisognava imparare ad accogliere e agire con professionalità, che allora non avevamo.
Era scoppiata la guerra in Libia e i mercenari di Gheddafi, per venire meno all’accordo stipulato con il governo Berlusconi, decidono di caricare a forza centinaia di persone (non migranti per scelta, ma semplici persone) su imbarcazioni di fortuna, verso le coste italiane. Molti di loro, tra cui Enock, che si è poi fermato a Berceto per qualche anno, mi raccontavano di non aver mai visto il mare in vita loro prima di quel momento e di non sapere nemmeno dove fosse l’Italia, prima del loro approdo. Molte cose ha poi imparato Enock stando qui, sentendosi comunque fortunato della sorte che gli è toccata, dopo aver vissuto le tragedie pre-post-durante Libia.

Poi le cose sono man mano cambiate. Il fatto che non ci fosse altro modo per immigrare regolarmente in Italia (grazie anche a una legge chiamata Bossi-Fini) congiunto al fatto che si fosse aperto un varco sulle nostre coste nel caos generalizzato della guerra civile in Libia, ha permesso l’arrivo di migliaia di rifugiati in fuga da guerre storiche che finalmente trovavano un’altra possibilità per approdare in Europa, e migliaia di migranti cosiddetti “economici”, oltre che il prosperare del business in mano ai trafficanti di persone e anche quello della cosiddetta “accoglienza”.
Sì, perché di quale accoglienza parliamo?
Sappiamo tutti che in Italia l’accoglienza, dal 2011 a oggi, è stata affidata a enti che gestiscono solitamente le calamità e le tragedie a livello nazionale: la Protezione Civile prima, le Prefetture dopo. Sono stati mobilitati enti e istituzioni per “fare fronte a un’emergenza”.
Ma si può parlare dei movimenti migratori in atto da decenni, ancora in termini di emergenza, seppur con picchi e depressioni di numeri variabili annualmente?
In pochi sanno che esisteva (già dagli anni ’90) il cosiddetto Piano Nazionale Asilo, che diede vita allo Sprar (Servizio di protezione richiedenti asilo e rifugiati). Un sistema pubblico di accoglienza affidato e diretto dagli enti locali, i comuni, enti più vicini ai cittadini che per i cittadini e con i cittadini realizzano servizi. Dunque l’esistenza di un sistema di accoglienza strutturato, esisteva già, ma con una capacità di posti insufficiente per far fronte alle esigenze del 2011.
In questo quadro, da allora, l’Italia possiede due sistemi di accoglienza: uno pubblico, esistente da vent’anni affidato agli enti locali (comuni), appunto lo Sprar, e uno semi-privato, necessariamente raffazzonato all’ultimo minuto, gestito dalle Prefetture, che affidano i servizi a privati (albergatori, privati cittadini, agriturismi, aziende…. cooperative sociali storiche, quando va bene, e cosi via).
In questo quadro il sistema pubblico di accoglienza si è visto ovviamente di dovere ampliare la sua disponibilità di posti, per scongiurare il “parcheggio” di persone completamente assistite negli alberghi, i cosiddetti Cas (Centri accoglienza straordinaria). Il più delle volte le persone erano parcheggiate passivamente per mesi, con un dispendio di risorse economiche fuori norma, e senza il risultato di creare sviluppo per il territorio e per le persone accolte che quei territori vivevano. Persone che dopo due anni di accoglienza escono da questi centri senza sapere una parola di italiano e senza avere imparato nulla sulla società che li ha accolti.
Escludiamo però da questi discorsi i Cas virtuosi e che hanno fatto miracoli per l’inclusione sociale delle persone. Escludiamo da questi discorsi i miracoli che sono stati fatti in questo paese alla faccia di tutti, magari senza strumenti conoscitivi, ma con un carico di umanità sufficiente a far funzionare la baracca. Ma riconosciamo che un sistema così non può perdurare. Non si può lasciare al caso e alla fortuna il trovare persone che agiscono con buon senso anziché per interesse, seppur senza professionalità, e non possiamo non riconoscere che quello dell’accoglienza è un campo che richiede cautela, professionalità, controllo e monitoraggio costante.
Questo pullulare di accoglienze fatte a caso, ha dato vigore alla retorica del “rimandiamoli a casa loro”, ovviamente, perché non piace a nessuno vedere persone accolte che protestano negli hotel, con il condimento che molti reporter sanno dare appassionatamente alla notizia.

Siamo tutti d’accordo di non voler spendere denaro inutilmente. Quel denaro va speso per controllare il fenomeno, dare la possibilità di inclusione nella società alle persone che già sono in questi territori, professionalizzare le organizzazioni per far fronte al fenomeno (decennale) delle migrazioni di massa. Migrazioni di massa che non si arrestano. Non si arrestano con gli spot pubblicitari pseudo politici. Dalla nave Diciotti i migranti sono sbarcati, nonostante tutto, e qualcuno ora sta facendo il lavoro di inclusione che la rete continua a fare conscia che qualcuno dovrà pur lavorare a favore delle nostre comunità e a favore delle persone che approdano in esse, per non creare pericolosi disagiati.
Il fenomeno non si arresterà, è un fenomeno globale. Non fermiamoci a guardare il dito senza vedere la montagna colossale che vi sta dietro. Questo significherebbe mettere in luce la grande ignoranza che abbiamo sui fenomeni geopolitici internazionali.
In tutto questo, ancora una volta, la montagna subisce oggi un attacco inaccettabile al suo sviluppo, nell’assordante silenzio proveniente da tutte le parti.
Lo Sprar è riconosciuto internazionalmente come modello di eccellenza nelle pratiche dell’accoglienza, poiché costruisce concretamente l’unico strumento di sviluppo della cittadinanza tutta che è l’integrazione e l’inclusione delle persone, scongiurando così le pratiche di assistenzialismo (diciamo “buonista”, termine che piace ultimamente ai media) e scongiurando così l’inserimento di persone nelle fila dello sfruttamento, dell’illegalità, ma creando veri nuovi cittadini contribuenti per i nostri territori bisognosi di partecipazione.
L’accoglienza è faticosa. E molto. Significa promuovere la partecipazione di tutti, accolti e accoglienti. Significa insegnare, imparare, far nascere economia, far sbocciare opportunità. Significa creare lavoro dal nulla, ampliare rete di conoscenze e di persone collegate tra loro. Significa valorizzare la nostra e altrui cultura. Significa insegnare la legge, riconoscere le istituzioni, e fare apprezzare e rispettare la Costituzione. Significa mettere in moto anime e territori a favore della crescita collettiva dei cittadini che vivono i luoghi, dalle più grandi città ai più piccoli paesi.
Parcheggiare persone a 35 euro al giorno (da domani probabilmente 20), dando loro da mangiare perché sopravvivano e fermarsi a questo invece è molto più facile. Non richiede sforzo, se non quello minimo del controllo. Non ci si rende conto che la sicurezza l’abbiamo nel momento in cui una persona è inclusa in una comunità e ne fa parte. L’accoglienza dei piccoli paesi infatti produce una sicurezza al cento per cento, perché tutti si accorgono di tutto nei piccoli borghi. Ma quella sicurezza nei grossi casermoni di città invece non c’è.
Questo sistema di “accoglienza” produce futuri disagiati. Produce insicurezza, poiché non avranno imparato nulla in quell’anno o due in cui sono stati accuditi passivamente dal punto di vista quasi esclusivamente alimentare. Questo sistema produce inetti potenzialmente pericolosi per tutti.
Lo Sprar in Italia, come gli altri sistemi di accoglienza negli altri paesi europei, punta all’inclusione delle persone nella società multietnica attraverso gli strumenti del lavoro e della formazione professionale. Apprendimento della lingua italiana, qualificazione professionale, partecipazione sociale nelle comunità locali accoglienti erano le tre mani di azione dello Sprar.
Le piccole comunità locali come Berceto hanno solo tratto beneficio dall’esperienza Sprar, così anche i beneficiari dei progetti condotti qui, che oggi hanno preso la loro strada e ora lavorano e fanno parte della società e non solo pagando le tasse. In questo sistema di accoglienza hanno appreso. Il paesello ha appreso da loro, dal loro passaggio e dal loro restare. Hanno appreso del mondo di fuori, portato dai racconti e dai modi delle persone arrivate da molti territori diversi.
L’Italia è composta per gran parte da territorio montano fatto di piccole comunità. Qui lo Sprar funzionava e apportava benefici.
Ecco perché la montagna ha subito, questo ottobre 2018, un altro durissimo colpo al suo sviluppo. Ancora una volta il grande centro, il mega business, il centralizzato, vince sul decentrato, la piccola economia, il borgo. Ancora una volta bisognerà migrare verso la pericolosa valle cittadina, che ancora su tutto rimane riferimento, anche su questo.
Preferivo la sicurezza verde del mio borgo montano, collegato al mondo di fuori. E qui a Berceto collegati al mondo di fuori, siamo sempre di più. Tanto allo stato delle cose, la nazione non può mandare nessuno a “casa loro”, perché prima vanno cambiate le leggi. E nel frattempo cosa si sta già producendo in termini di insicurezza? Circa l’ottanta per cento delle persone che potevano usufruire dell’esperienza Sprar, dal 5 ottobre 2018 non hanno più accesso al sistema. Sono già da oggi in giro a gironzolare senza possibilità di imparare. E anche noi lavoratori dello Sprar, le nostre parole di insegnamento rimangono sospese. E la nostra capacità di imparare, è congelata. Consapevoli che: “Ciò a cui opponi resistenza persiste. Ciò che accetti, può essere cambiato” (Carl Gustav Jung).
Maria Molinari