La furia “modernizzatrice” dei centri storici delle città italiane sembra stare ormai placandosi, anche se di tanto in tanto riemergono proposte puntuali di trasformazione. Oggi, non sembrano più realizzabili progetti come la strada sopraelevata costruita nel 1963 in uno dei luoghi-simbolo di Genova, Piazza Caricamento, o la sostituzione sistematica, in particolare tra il 1950 e il 1970, di edifici storici con nuove costruzioni fuori scala e in stile “internazionale”. Questo fenomeno urbanistico è conosciuto sotto il nome di “bruxellisation”, dal nome della città di Bruxelles, dove, negli anni ’60 e ’70 del XX secolo, interi quartieri popolari del centro storico vennero rasi al suolo per essere sostituiti da grandi edifici amministrativi del tutto anonimi. A distanza di tempo, tutto ciò appare come un incubo, di cui la società ha finalmente preso coscienza, sia perché centri storici integri costituiscono un elemento fondamentale dell’identità locale, il genius loci, sia soprattutto perché essi fungono chiaramente da catalizzatore di forme di sviluppo turistico e commerciale, rappresentando al contempo un sostegno non secondario all’attrattività economica e sociale del contesto urbano più in generale. Perciò, promotori privati e amministratori pubblici indirizzano attualmente altrove i loro interessi di espansione.
Tuttavia, se prendiamo in considerazione le aree naturali protette, sembra che principi di salvaguardia analoghi a quelli applicati correntemente ai centri storici urbani non siano stati ancora ben integrati nelle mentalità e nella prassi, nonostante il corpus legislativo ambientale di cui sono dotati sia il nostro Paese, sia l’Unione europea. In sostanza, si ripresentano anche nelle aree protette, con preoccupante frequenza e con decenni di ritardo, schemi e pratiche già consumati ai tempi dell’assalto ai centri storici: ad esempio, la modifica ad hoc e l’indebolimento delle norme vigenti, al fine di riproporre pesanti interventi urbanistici o di infrastrutturazione.
Coloro che risvegliano in questo modo il fantasma sopito della “modernizzazione” considerano evidentemente gli habitat naturali e gli ecosistemi come res nullius, cioè oggetto senza proprietario, insomma spazi liberi che si possano occupare secondo le esigenze del momento. In realtà, la legislazione italiana ha già da lungo tempo stabilito che le foreste demaniali (Codice Civile, art. 826) e la fauna selvatica (Legge 11 febbraio 1992, n. 157) sono beni indisponibili dello Stato, e che quindi appartengono a tutti noi. Ma, fatto ancora più rilevante, alcuni promotori e amministratori, oltre alla maggioranza dei cittadini, sembrano non essere ancora al corrente che molte aree protette ai sensi delle norme regionali e nazionali, sono tutelate da decenni anche dalla legislazione dell’Unione europea. E quest’ultima ha finora fornito un quadro legale stabile nel tempo, non modificabile a seconda degli interessi locali o della brezza cangiante della politica. Infatti, nel 1979, in concomitanza con la firma da parte degli Stati europei della Convenzione di Berna, l’Unione europea varava una norma nota comunemente come direttiva “Uccelli” (79/409/CEE, poi sostituita dalla direttiva 2009/147/CE), con l’obbiettivo di proteggere in modo omogeneo la fauna avicola selvatica e, in particolare, le specie migratrici. Successivamente, quasi in contemporanea con la stipula della Convenzione di Rio de Janeiro sulla diversità biologica (1992), l’Unione europea approvava una seconda direttiva, detta “Habitat” (92/43/CEE). Le due direttive pongono sotto la protezione della legislazione europea una lunga serie di specie e di associazioni vegetali (gli habitat, appunto). Inoltre, per raggiungere tale obbiettivo di tutela, entrambe le direttive esigono che gli Stati membri designino appositi siti (Zps-Zone di protezione speciale, Sic-Siti di importanza comunitaria, Zsc-Zone speciali di conservazione) che divengono parte integrante di un sistema europeo di aree protette, la Rete Natura 2000. Con più di 27.000 siti, essa copre attualmente circa il 18% del territorio dell’Unione. Ovviamente, le regioni montuose europee forniscono un contributo rilevante alla Rete Natura 2000, poiché ospitano vaste e non eccessivamente frammentate aree naturali e semi-naturali. In quanto alle sole Alpi, si contano numerose specie vegetali e animali tutelate, tra cui i grandi predatori (orso, lupo, lince), oltre a un’ottantina di habitat protetti ai sensi delle due direttive.
I siti della Rete Natura 2000 possono coincidere o no con le aree protette a livello nazionale, ma essi rispondono alle norme di tutela europee, alle quali le leggi e i piani di gestione del territorio nazionali sono tenuti ad adattarsi. Piani e progetti, estranei alle azioni miranti alla conservazione e aventi un impatto sui siti, saranno perciò sottoposti ad apposita valutazione ambientale. Essi potranno essere approvati e realizzati solo nel caso non peggiorino lo stato di conservazione di habitat e specie e non minino l’integrità dei siti oppure “per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico”. Per questo, oltre ad una serie consistente di documenti interpretativi, la Commissione europea ha pubblicato un’ampia casistica basata sulle sentenze della Corte europea di giustizia, al fine di chiarire quali piani e progetti rientrino nella definizione della direttiva (European Commission, Rulings of the European Court of Justice-Article 6 of the Habitats Directive, 2014).
Nel frattempo, nonostante sia ben chiaro che i casi in cui viene eccezionalmente concesso di intaccare i siti Natura 2000 sono per lo più limitati a grandi infrastrutture di rilevante importanza nazionale (porti, aeroporti, ferrovie, etc.), si assiste ad uno stillicidio di proposte di interventi invasivi. In particolare, in quasi tutte le Regioni alpine si ripropongono vasti progetti sciistici con piste ed impianti a fune all’interno dei siti Natura 2000, come nei casi delle Cime Bianche in Valle d’Aosta, del Parco naturale dell’Alpe Veglia-Devero in Piemonte, dell’Alta Valtellina tra Livigno, Bormio e Valfurva in Lombardia e del grande collegamento dolomitico tra Veneto e Trentino-Alto Adige. In altre situazioni, viene proposta una deregolamentazione della pratica dell’eliski oppure si aspira addirittura alla riduzione della superficie dei siti, come nel caso del Parco naturale della Lessinia, in Veneto.
Allo scopo di evitare all’Italia una penosa procedura di infrazione sulla generalizzata carente redazione delle valutazioni ambientali previste dalle direttive, un lungo negoziato tra la Commissione europea e il Ministero dell’Ambiente ha condotto quest’ultimo alla pubblicazione, nel 2019, di dettagliatissime “Linee Guida Nazionali per la Valutazione di Incidenza” (G. U., Serie generale – n. 303, 28.12.2019), le quali, finalmente, dovrebbero meglio informare gli Enti locali italiani, al di là degli annunci ad effetto e dei progetti stesi sulla carta, sui loro reali limiti di interferenza con i siti Natura 2000.
A distanza di 40 anni dal varo della direttiva “Uccelli” e di quasi 30 anni dall’approvazione della direttiva “Habitat”, la salvaguardia rigorosa dei siti Natura 2000 dovrebbe rappresentare un concetto ormai consolidato in tutti i livelli della società. Tuttavia, i cambiamenti sono estremamente rapidi. Da una parte, le città europee sono ora impegnate in transizioni senza fine all’interno dell’economia globalizzata. Dall’altra, i Siti Natura 2000 e le altre aree protette non sono più sufficienti di fronte al dramma della sesta estinzione di massa e al crollo generalizzato del numero degli individui di specie non ancora ufficialmente considerate in pericolo. In questo nuovo scenario, sia il dibattito sulla salvaguardia dei centri storici, sia quello sulla tutela dei Siti Natura 2000 rischiano di essere relegati al rango di argomenti di retroguardia rispetto all’incalzare di nuove esigenze. Le aree protette e i Siti Natura 2000 restano pietre miliari irrinunciabili, ma si trovano sotto assedio. E’ necessaria una sortita: la battaglia deve ora generalizzarsi e spostarsi verso nuove forme di convivenza tra il genere umano e gli altri esseri viventi, forme che si diffondano dalle aree protette all’insieme del territorio.
Federico Nogara, Ecole Nature et Recherche