Lo sci alpino è stato a partire dal dopoguerra uno degli elementi trainanti per l’economia turistica della montagna a scapito però di un costo piuttosto elevato in termini di impatto ambientale dovuto alla colonizzazione dei territori d’alta quota.
Se quello dell’infrastrutturazione delle piste è stato nella maggior parte dei casi affrontato come un problema banalmente di natura tecnica ed ingegneristica non dobbiamo però dimenticare che in alcuni frangenti è diventato anche una interessante occasione di sperimentazione architettonica. L’edificio di servizio alle piste, sia esso residenza, bar, “rifugio” è stato tema che, trasversalmente alle epoche e alle mode, ha solleticato l’immaginario dei progettisti del movimento moderno ponendosi di volta in volta come occasione di rileggere il linguaggio architettonico alla luce dei nuovi stimoli portati da questo nuovo modo di abitare la montagna. Si pensi innanzitutto alle nuove fascinazioni introdotte dalla pratica dello sci, all’idea della colonizzazione di uno spazio “altro”, al rapporto con il paesaggio montano circostante o ancora alla messa a punto di immagini archetipe legate alla concezione dell’abitare “minimo” e della prefabbricazione.
Tralasciando per ora gli approcci su grande scala che hanno caratterizzato l’epoca dell’invenzione dello ski-total (si pensi agli interventi di Chappis e Pradelle in Francia o ancora Dolza, Galvagni, Severino e altri sul versante italiano delle Alpi), una storia ancora poco conosciuta è quella delle ricerche fatte nell’ambito del movimento moderno da volti noti della cultura architettonica europea quali Adalberto Libera, Franz Baumann, Jean Prouvé, Charlotte Perriand, Carlo Mollino. La maggior parte di esse è purtroppo rimasta però confinata nell’ambito della sperimentazione o del caso isolato, mentre il tema è stato diffusamente risolto con varie declinazioni dello chalet/baita, pastiche di elementi e materiali di ispirazione rustico-vernacolare.
Oggi che siamo in una fase di radicale ripensamento dell’idea “tradizionale” della stazione sciistica, le intuizioni di queste proposte pionieristiche paiono quanto mai attuali perché vanno nella direzione di un ripensamento virtuoso dell’infrastrutturazione del territorio, cercando di superare il calcestruzzo imperante proponendo invece un approccio innovativo e leggero, con interventi reversibili, ricollocabili, riciclabili.
Roberto Dini e Stefano Girodo
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