Corteno Golgi è un Comune sparso dell’alta Val Camonica, posto tra Edolo e la nota località turistica del Passo dell’Aprica, sul confine tra le province di Brescia e di Sondrio. Qui, nel 2008 si è trasferita una giovane coppia per vivere in un ambiente molto amato e per avviarvi contestualmente una piccola azienda agricola in località Comazera, a 1300 metri di altitudine. Si tratta di Anna Crescenti e Matteo Gatti (classe 1974) originari rispettivamente di Ospitaletto e di Iseo (BS), entrambi ingegneri ambientali laureati presso l’Università di Milano.
Si presenta Anna: “Io e Matteo ci siamo conosciuti durante un workshop sulla cooperazione nei paesi in via di sviluppo. Dopo la laurea abbiamo collaborato a progetti umanitari con alcune Ong in contesti rurali montani di paesi in guerra. Nel giugno 2002 siamo partiti per l’Afghanistan, dove siamo stati un anno e mezzo. Realizzavamo condotti per portare nei villaggi l’acqua potabile dei pozzi e delle sorgenti. Già in occasione di quell’esperienza, immersi in una realtà agricola di sussistenza, ci siamo resi conto di quanta futilità c’è nella vita quotidiana del mondo occidentale del ‘benessere’. Abbiamo poi lavorato quattro anni in Tagikistan, nell’Asia centrale, per realizzare progetti di irrigazione finalizzati all’agricoltura. È stata poi la volta di Haiti e dello Sri Lanka. Sono state tutte esperienze che ci hanno segnato e che hanno contribuito a farci desiderare di vivere in maniera il più possibile sostenibile dal punto di vista abitativo, energetico e alimentare. La lettura del libro dell’inglese Etain Addey, trasferitasi in Umbria nel 1980, esponente del movimento bioregionalista italiano, intitolato ‘Una gioia silenziosa. I diari di Pratale, raccolto di una vita diversa’ (2004) ci ha trasmesso l’idea che una vita più semplice e felice si può condurre anche in un contesto sociale ed economico complesso come il nostro e la sua famiglia ne è stata la prova vivente. Sentivamo che la vita in montagna, da sempre una nostra grande passione, ci stava chiamando, ed è così che nel 2008 abbiamo deciso di trasferirci in alta Val Camonica: a Corteno abbiamo acquistato un terreno di ca. 4.000 mq a 1300 metri di quota, dove negli anni successivi abbiamo costruito la nostra casa, attorniata dai terreni che avremmo in seguito utilizzato per le colture della nostra azienda agricola. Abbiamo voluto realizzare la nostra abitazione in bioedilizia e con materiali naturali come pietra e calce, terra cruda, legno di castagno, isolanti come sughero e lana di pecora. Tra il 2008 e il 2012, in attesa che la casa fosse pronta, abbiamo abitato in paese entrando in contatto con la popolazione locale”.
Come è stato inizialmente e come è proseguito il rapporto con la gente del posto?
“Hanno dimostrato sin da subito molta curiosità nei nostri confronti, unita a un po’ di diffidenza: giustamente si chiedevano cosa mai spingesse una giovane coppia di ingegneri a trasferirsi, a costruire una casa, ad avviare un’attività agricola e persino a realizzare la strada per raggiungerla in una località impervia e isolata di un remoto paesino di montagna. Forse temevano che facessimo della speculazione, ma poi si sono resi conto che lavoravamo la terra e che, seppur con mille difficoltà, facevamo sul serio o quantomeno ci provavamo. Nel frattempo sono nati i nostri due bambini, Darko e Leone, che andando all’asilo e a scuola si sono perfettamente integrati con i loro coetanei e che ci hanno aiutato nei rapporti con gli altri genitori. Le nostre famiglie d’origine sono lontane, ma anche qui ora abbiamo conosciuto delle persone su cui poter contare in caso di bisogno”.
Come è nata la vostra azienda agricola e cosa producete?
“Comazera è nata innanzitutto grazie all’ottimismo che mi ha sempre contraddistinta rispetto alla prudenza che caratterizza mio marito. All’epoca, non avendo ancora compiuto quarant’anni ho potuto beneficiare del ‘Premio Giovani’ previsto dai bandi annuali del regionale Piano di Sviluppo Rurale, per il quale bisogna dimostrare di aver già iniziato l’insediamento in un’azienda agricola o di essere già titolari di una partita IVA agricola. Il punteggio per beneficiare del finanziamento viene assegnato sulla base di una serie di fattori: risultare agricoltori in attività, possedere un’adeguata preparazione professionale, presentare un piano aziendale per lo sviluppo dell’attività agricola. Vengono inoltre tenuti in conto la posizione dell’azienda – il punteggio assegnato è maggiore se in zone svantaggiate di montagna -, l’estensione dell’area coltivabile o il numero dei capi d’allevamento. Ad oggi le nostre colture comprendono frutti di bosco, patate, erbe aromatiche e mais di varietà rustiche locali. Vendiamo i nostri prodotti sia freschi che trasformati nel laboratorio realizzato grazie alla misura 121 del PSR, che ci ha finanziati al 40%. Fare agricoltura ci impone di rimanere sul luogo, ma grazie all’organizzazione Wwoof (World wide opportunities on organic farms) portiamo il mondo in casa nostra, ospitando persone provenienti da vari paesi che ci aiutano nel lavoro nei campi in cambio di vitto e alloggio”.
Il fatturato di Comazera, di circa 8.000 euro nel 2016, viene ancora oggi totalmente reinvestito in azienda. Perciò, per far fronte all’economia famigliare Matteo svolge ancora qualche consulenza di ingegneria all’estero e nei mesi liberi aiuta Anna nei lavori agricoli. Il loro obiettivo è quello di aumentare la produzione recuperando altri terreni liberi e offrire ospitalità.
Quali sono le difficoltà che avete incontrato e che dovete affrontare nella quotidianità del contesto che avete scelto?
“Non abbiamo scelto un posto molto agibile. Nessuno pulisce dalla neve la ripida strada che porta alla nostra casa. Ci dobbiamo pensare noi. In inverno l’acqua del torrente si gela e con lei quella dei tubi. Per questo sono necessarie diverse capacità adattative. Riguardo all’azienda non abbiamo ancora raggiunto né la sostenibilità economica né di produzione agricola perché siamo solo in due e dobbiamo far conto solo sulle nostre forze. Inoltre, nei contesti di montagna non è facile vendere localmente; per questo impieghiamo tante energie per spostarci e rifornire i nostri clienti perlopiù in città, presso gruppi d’acquisto e privati con cui funziona il passaparola. Da loro abbiamo avuto molti riscontri positivi. A marzo finiamo di vendere i trasformati dei frutti di bosco e a settembre iniziamo a vendere le patate. Già a gennaio sappiamo quante prenotazioni abbiamo per le nostre patate, in modo da mettere a dimora i tuberi sufficienti per accontentare tutti i nostri clienti. Saltare l’intermediario e vendere direttamente ai privati, ancor meglio se su prenotazione, è la chiave di sopravvivenza per le micro realtà aziendali a conduzione famigliare come la nostra”.
Cosa vuoi consigliare a chi, come voi, ambisce a trasferirsi in montagna e ad aprire una piccola azienda agricola?
“Dico che innanzitutto ci vuole molta tenacia e capacità di sapersi adattare, di non aver paura di piegare la schiena e faticare. Inoltre bisogna rendersi conto che nulla ti viene regalato e i contributi previsti dal PSR vengono erogati solo a fronte di investimenti già effettuati. In quanto piccole realtà, il rischio di non farcela è molto forte: consiglio a tutti di imparare a fare rete, che significa collaborare con altre aziende vicine con cui si condividono approcci e impostazioni, coinvolgendo i consumatori all’insegna di relazioni economiche-sociali di fiducia e di mutualismo”.
Michela Capra