Nel biennio 2019-2020 l’Università di Verona, con il progetto “Oltre il confine” diretto dalla professoressa Mara Migliavacca, si è occupata di una frontiera forse poco considerata ma foriera di risultati interessanti e talvolta sorprendenti dal punto di vista dei risvolti metodologici. Il progetto, caratterizzato da un’analisi GIS delle foto aeree, da una prospezione archeologica di superficie (realizzata da Anita Casarotto, Jessica Bezzi e Silvia Bandera) e da una serie di interviste etnografiche e di ricerche etno-storiche (realizzate dal sottoscritto), ha avuto come obiettivo quello di indagare il confine tra Veneto e Trentino in alta Vallarsa (Tn), un tempo frontiera tra Austria e Italia, oggi confine di regione e provincia valicabile al Pian delle Fugazze e al Passo di Campogrosso, ai piedi delle splendide Piccole Dolomiti.

Nelle Alpi, la prima ricerca sul tema è stata quella condotta dagli antropologi americani J.W. Cole e E. R. Wolf che negli anni ’60 hanno indagato la “differenza” tra l’abitato trentino di Tret e quello sudtirolese di St. Felix. Nei decenni successivi sono stati molti gli studi che si sono occupati di tematiche simili, prendendo in considerazione sia gli aspetti culturali che quelli ambientali.
In sintesi, i risultati del progetto indicano come nei secoli i territori a cavallo dei due passi furono oggetto di contese durissime che sfociarono a volte in scontri con feriti (e in qualche caso morti) fino a quando, nel 1750, Austria e Repubblica veneta si accordarono per procedere alla posa di una serie di cippi confinari che contribuirono a normalizzare i rapporti tra le due comunità contermini. Fatta eccezione per la Prima Guerra Mondiale, della quale il progetto ha rilevato diversi resti di baracche, trincee e depositi, probabilmente le retrovie del fronte di Matassone, a metà valle, i reperti di carattere bellico militare costituiscono infatti una netta minoranza rispetto a quelli relativi alle attività di carattere agro-silvo-pastorale.
Sullo sfondo rimasero però sensibili differenze relative alla pressione demografica, maggiore nel Vicentino, e alle caratteristiche ambientali che vedevano il versante trentino più freddo e secco, con ampi prati e splendide faggete, e quello veneto più caldo ed umido, con estesi castagneti e ottime coltivazioni di mais.
Fino almeno al termine della Seconda Guerra mondiale i rapporti tra le due parti si andarono tessendo proprio su tali squilibri. Il legno e il carbone derivato dai boschi comunali della Vallarsa venivano venduti nella pianura veneta, dove le attività artigianali (vetrerie e fucine) e domestiche, anche di Venezia stessa, ne facevano grande richiesta. Di contro, salivano castagne e farina di mais, scambiate di persona, alla fiera primo-autunnale di San Luca di Parrocchia o con un commercio di ambulanti che, dal Veneto, rifornivano il versante trentino anche di stoffe e materassi. La disponibilità di ampi pascoli, che i locali non riuscivano a sfruttare del tutto, ha fatto sì che dal Veneto salissero anche bovini e ovini, cosa che accade ancora oggi.
A spostarsi non furono solo gli oggetti ma anche le persone che, data la società patriarcale del tempo, erano in gran parte da donne. Giunte per la fienagione o per dare una mano nei lavori domestici, più d’una trovò casa e famiglia, sancendo quindi la permeabilità del confine.

La sovrabbondante disponibilità del territorio fu alla base di un’altra attività “transfrontaliera” che si sviluppò dagli anni ’50 in poi. Lo splendido scenario delle Piccole Dolomiti si trova in gran parte in Trentino, a ridosso del confine con la provincia di Vicenza, da dove provengono però la maggior parte dei turisti. Per i Vicentini quelle sono le montagne di casa, le prime che incontrano addentrandosi nelle Alpi, alle quali associano spesso i ricordi d’infanzia fatti di intimità famigliare e di gite domenicali con genitori e nonni. I ristoranti e gli alberghi, sorti sul lato trentino del confine, sono stati testimoni, fruendone dal punto di vista economico, della nascita del turismo di massa che a bordo di Fiat o Lambrette muoveva in quegli anni i suoi primi passi fuori porta.
Il resto è storia recente. La ricchezza del nord-est da un lato, la Provincia Autonoma di Trento dall’altro, gli stereotipi nel mezzo: i Vallarseri più anziani utilizzano ancora il termine “Taliàni” di austro-ungarica memoria per indicare i Vicentini, i quali ricambiano con “tói”, un intercalare molto utilizzato nel dialetto trentino. Che il Veneto sia più simpatico e trabordante e il Trentino più riservato e quasi malinconico sembra mettere d’accordo entrambe le parti; la Vallarsa è vista dai Vicentini come la terra delle “vere tradizioni” e dei campanili “a cipolla” mentre il Veneto è pensato dai Trentini come il luogo del commercio e della merce a buon prezzo; l’Autonomia è ovviamente divisiva e per chi sta oltre confine è vista come un privilegio ma è anche desiderata e richiesta sempre più.
Uno dei risultati principali del progetto è di carattere metodologico. Le ricerche archeologiche ed etnografiche confermano infatti come i processi di costruzione dei confini e delle “identità” si fanno più forti se le occorrenze sovralocali lo richiedono (in questo caso le dispute tra Austria e Repubblica veneta, più in generale, a titolo di esempio, le contrapposizioni tra le diverse componenti etnico-nazionali balcaniche), rimanendo altrimenti sopiti e scavalcati localmente dalle piccole pratiche economiche, sociali o anche più semplicemente ludiche. “Da giovane andavo a Valli del Pasubio, noleggiavo una bicicletta e mi godevo il percorso pianeggiante fino a Schio, cosa che in montagna non avrei mai potuto fare” raccontava uno dei Vallarseri intervistati durante la ricerca.
Luca Pisoni