«Antonio ha 52 anni ed è il più anziano tra i ragazzi della Comunità che portiamo con noi in montagna. Sicuramente non lo si può definire un tipo sportivo: ha una costituzione robusta, una bella pancia sul davanti e una carriera da alcolista alle spalle. Prima dell’uscita dello scorso mese la montagna l’aveva sempre e solo vista da lontano. Durante l’escursione ha faticato più di tutti gli altri ragazzi che hanno in media tra i 25 e i 35 anni d’età. Antonio è comunque arrivato in cima. Lì, addentando un panino con sano appetito, mi ha detto: «Non ce la facevo più a camminare, ma mi sono imposto di proseguire e andare avanti. Due mesi fa quando sono entrato in Comunità ero molto bravo a schivare gli ostacoli. È tutta la vita che mi ci alleno. La camminata di oggi, però, mi ha insegnato l’esatto opposto: quando ci si trova davanti a una difficoltà bisogna saperla riconoscere e affrontare, proprio come ho fatto salendo fin quassù».

Il racconto è quello di Giuliano Fabbrica e Angelo Pozzi, due degli istruttori del Club Alpino Italiano che, all’inizio degli anni ottanta, hanno fondato il Gruppo Alpiteam di Seregno (Mb), nato come Scuola di Alpinismo del Cai e controllato dal Comitato di Coordinamento delle sezioni lombarde. Alpiteam non appartiene a una Sezione particolare, perché opera sull’intero territorio lombardo. Un’anomalia di forma legata alle attività e alle intenzioni del gruppo che ha deciso di mettere le competenze dei suoi componenti a disposizione non solo di sezioni e gruppi del Club, ma anche di strutture e organizzazioni che operano al di fuori dell’ambito associativo.
Gli albori degli anni novanta, il disagio sociale connesso al consumo di droga e il caso mediatico dell’Aids sono motivo di riflessione per il gruppo che da allora si dedica a quella “fetta del sociale” nella quale la vita è messa a repentaglio molto più che nella pratica dell’alpinismo.
«In quegli anni ci siamo resi conto di come l’utenza delle Scuole del Cai fosse cambiata: la frequentazione dei corsi di alpinismo era un’attività di moda, alla stregua dei corsi di tennis, della pratica dell’equitazione o della vela. Fare alpinismo rientrava nei cliché del consumismo. Così ci siamo messi in testa di recuperare la vocazione originaria delle Scuole di Alpinismo iniziando ad operare nell’ambito del disagio giovanile».
Da allora Alpiteam ha iniziato a collaborare con la Comunità Arca di Como che ospita ragazze e ragazzi in difficoltà e opera nel campo delle dipendenze da droga, alcool e gioco. Inserendo la montagna e l’alpinismo nel percorso terapeutico di recupero della Comunità, il Gruppo organizza ogni anno un programma di lezioni teoriche e uscite pratiche di escursionismo e arrampicata nei luoghi più rilevanti del panorama alpino.
Il corso raccoglie una trentina di iscrizioni, ossia il numero massimo di adesioni che i finanziamenti della Commissione Centrale del Cai possono sostenere.
«Entro la fine del corso i ragazzi hanno stretto amicizia e sono diventati un gruppo – raccontano Fabbrica e Pozzi –. Persone che litigavano durante la prima uscita e che a malapena offrivano un sorso d’acqua della propria borraccia al compagno stabiliscono gradualmente un rapporto unico, che resiste anche all’interno delle mura della Comunità».
Tutti gli anni il corso termina con la salita al Breithorn, diventata un vero e proprio must tra i ragazzi di Alpiteam che si tramanda di anno in anno ai nuovi ospiti della Comunità. Questi, incuriositi dall’ebbrezza di un 4000, decidono di iscriversi al corso. Superate la fatica e la spossatezza arrivano l’impegno, la volitività e la fiducia; gli occhi brillano di euforia e una voce, con soddisfazione, strilla all’altro capo del telefono: «Sai, mamma, oggi con alcuni amici della Comunità siamo andati in montagna ad arrampicare. Da soli».
Il significato di una gita in montagna chiedetelo a loro: guarda il video
Daria Rabbia