Cosa succede sulle Prealpi bergamasche quando l’inverno manca dei caratteri tipici che ce lo facevano riconoscere? «La complessità della situazione climatica che si vive in montagna, ambiente principe per fragilità e bellezza, presenta aspetti e letture apparentemente contraddittori – sostiene Paolo Valoti, storico dirigente del CAI -. Ovvio, la mancanza su versanti e cime del niveo manto che li fa rilucere contro il cielo inibisce, non solo per chi mette gli sci ai piedi, il fascino e l’attrattività propria di questi paesaggi negli inverni alpini». Il crollo delle scorte di acqua in forma di ghiaccio e neve assommato alla scarsità, tal quale, di precipitazioni ha ridotto i livelli in quelle perle vanto delle Orobie costitute dai laghetti di Porcile, Branchino o Becco, nonché quasi prosciugato gli invasi artificiali come Fregabolgia o Gemelli deputati ad alimentare centrali idroelettriche e corsi d’acqua. Eppure, il prolungarsi inusitato delle condizioni di assenza di neve ha offerto altre opportunità, ad esempio al popolo dei semplici camminatori: «Il 2022 orobico, forte anche dell’onda lunga del bisogno di ‘natura’ esploso nel post-pandemia, ha conosciuto una moltiplicazione delle presenze oltre ogni possibile previsione. I rifugi in quota hanno potuto aprire con quattro settimane di anticipo e chiudere un mese più tardi, accogliendo flussi incessanti di escursionisti. La domanda, in crescita esponenziale, ha stremato i gestori e li ha costretti a ritararsi su più fronti. Innanzitutto, ampliando le capacità di accoglienza e ospitalità, ma anche riconsiderando, insieme agli utenti, le disponibilità in merito agli usi di acqua ed energia. Lo sforzo di condividere la necessità di comportamenti più virtuosi ha rappresentato una novità emersa con diffusa e maggiore consapevolezza». Alcuni operatori, puntando all’autosufficienza energetica, si son dotati di micro-pale eoliche e pannelli solari, altri hanno adottato politiche ‘plastic less’, altri ancora hanno riqualificato l’offerta gastronomica con cibi sempre più legati al territorio. Questa positiva evoluzione non occulta evidentemente la fragilità di un territorio privato in grande parte di uno dei suoi elementi costitutivi: «Sul ghiaccio del Gleno dal 1925 al 1950 si sono svolti i campionati italiani di sci, quest’anno si sale al Gleno senza pestare neve, la vedretta di Scais è ridotta a un fazzoletto!». Che in montagna risulti molto più complesso che in pianura capitalizzare l’acqua è una tautologia, per cui, a partire dai pascoli per finire al minimo deflusso vitale nei fiumi, i problemi sono stati e saranno enormi.
Intraprendiamo allora un breve excursus sui rilievi bergamaschi iniziando da oriente.
Presolana e Pora rappresentano i poli sciistici di rilievo di questa parte della provincia. La prima stazione è sposata al Pizzo della Presolana: un imponente blocco calcareo solcato da canaloni e circondato da guglie e torrioni, ricchissimo di giacimenti minerari e fossili che ha attratto, specialmente nell’800, legioni di alpinisti in virtù delle sue erte pareti sulle quali sperimentare nuove vie: è montagna identitaria nel cuore di tutti i Bergamaschi. Gli impianti posti sulle sue pendici, con quota massima 1600 m, sono tradizionalmente una palestra per principianti, meta obbligata per esordienti nel mondo dello sci da discesa. Lorenzo Pasinetti, direttore di stazione, non nasconde il primato negativo, da 30 anni a questa parte, dell’inverno 2022-23: temperature impossibili a cui si è aggiunta una carenza estrema di acqua. L’accesso ad un bando regionale permetterà alla comunità locale di approntare nuovi bacini di raccolta idrica. In linea con i trend di de-stagionalizzazione dell’offerta si immaginano proposte capaci di essere attrattive anche nella stagione estiva, per offrire maggiore stabilità alle maestranze. La quota più elevata, insieme a una notevole riserva idrica, con un nuovo bacino progettato per il 2024, ed efficientissimi impianti di innevamento artificiale, sono stati fattori determinanti che han permesso alla stazione dirimpettaia sul Monte Pora di avere, nelle parole dell’AD Maurizio Seletti, risultati molto positivi, indubbiamente anche in virtù dei problemi patiti altrove. Le piste adagiate sul “panettone” di 1800 metri del Pora, sono meta predestinata di sci-club bergamaschi e bresciani che approfittano vieppiù dei servizi di ticketing facilitato e, non ultimo, la disponibilità di spazi caldi per rifocillarsi. La proposta di montagna “facile e per tutti” mantiene una spiccata attrattività per le famiglie bergamasche, grazie anche alla possibilità di un approccio ludico agli sport invernali e a progetti rivolti a non sciatori che saranno implementati a breve. La promozione di un’offerta ristorativa dell’intorno, basata anche sui prodotti locali, concorre a mantenere alto l’interesse per i due poli di un “topos” di grande suggestione.
A Trabuchello, facciamo due passi col sindaco di Isola di Fondra, attraversiamo il ponte appena fuori dal Municipio. Sotto scorre quel che resta del Brembo, un rigagnolo, in questo febbraio che, ormai, solo pochi irriducibili possono definire anomalo. Guardiamo a monte verso Branzi, non si vede traccia di neve, la pista di sci nordico che partirebbe poco più su quest’anno è rimasta all’asciutto. «Beh, – esordisce Carletto Forchini – se non altro il sentiero delle centrali è rimasto agevolmente percorribile tutt’inverno. Il percorso di oltre una ventina di km parte da Bordogna, sulla sinistra orografica qualche km più a valle, interessa i due magnifici ponti storici, che si intravvedono anche dalla statale, sale verso Branzi e poi Carona, dove ha sede la centrale idroelettrica più a nord di questo comprensorio del ramo orientale del Brembo. Segue, più o meno, il percorso dei canali di adduzione che sono stati scavati nella roccia da condannati alla silicosi, come mio padre. Discendenti diretti dei “damnati ad metalla” che, agli ordini dei capicantiere romani, avevano avviate le “fortune” minerarie della valle Brembana». Ha voce tesa ed esce dagli uffici comunali in balia di una grigia nuvola di pensieri. Ci racconta di aver appena steso la lettera per Ministero degli Interni, ANCI e ANPCI a nome dei colleghi sindaci della valle perché la supposta modifica delle modalità di erogazione dei fondi ai sensi del PNRR – che sembra prevedere il pagamento anticipato dei lavori da parte dei Comuni, prima di ricevere il saldo dal Ministero- per tutti i piccoli comuni della Valle Brembana, molti dei quali sotto i 500 abitanti -, ha tolto il sonno a più di un sindaco. La condizione di retroattività della modifica ha messo i responsabili delle comunità locali in grave difficoltà: le opere di protezione ambientale poste in atto (paravalanghe, reti di contenimento caduta massi, argini fluviali, …) che presentano e hanno rappresentato costi di centinaia di migliaia di euro, non sono certo anticipabili da amministrazioni che hanno bilanci sottodimensionati e nemmeno possono accedere a crediti bancari congrui. Impossibilitati a liquidare gli importi a imprese che hanno già effettuato i lavori, si trovano loro malgrado ad essere oggetto di vertenze legali. Cerchiamo di distogliere il primo cittadino dalla tensione, che avvertiamo davvero palpabile, portandolo ad osservare i boschi sui pendii del Pietra Quadra e dei monti che incombono, da entrambi i lati, sull’angusta valle, strettoia lasciata dalle rocce di scarico del Verrucano lombardo. Insieme notiamo i vuoti lasciati dai fratelli minori di “Vaia” che, anche qui, hanno colpito nel 2018 e 2020, sradicando chiazze di abete rosso. La debolezza di queste conifere che hanno sviluppato orizzontalmente il sistema radicale sul sottile substrato che le rocce concedono, è doppia. La penuria idrica di questa nuova era climatica le espone con minori difese al bostrico, che avanza implacabile. «Oltre a re-immaginare gli inverni, qui dovremo anche seriamente re-immaginare le coperture boschive, non c’è dubbio!».
Non possiamo che condividere preoccupazioni e riflessioni, serve uno sforzo di immaginazione, volontà e, soprattutto di ricerca promossa da e con le comunità locali per capire come uscire da una dead end road.
Una manciata di km più a nord, Foppolo, 1500 metri di quota e piste che si sviluppano alle quote più elevate della provincia sino ai 2100 metri, è il paese in capo alla valle. Il comune vanta una serie di primati, non tutti memorabili, legati alla sua lunga storia, malata di gigantismo, di stazione principe dello sci bergamasco, sviluppatasi grazie al centinaio di km che la collegano a Milano e i 50 all’aeroporto di Bergamo-Orio, il nodo aeroportuale più frequentato d’Italia. Cerchiamo di capire con Marco Calvetti, direttore della stazione sciistica, come sia andata la stagione ormai agli sgoccioli. «Foppolo, e il suo comprensorio, vantano ancora un forte appeal, specialmente per i meneghini, questo ci salva. Certo a Natale, per la prima volta da quando Noè dovette approntare l’Arca, ha piovuto: non è stato confortante vedere gli ospiti sguazzare nelle pozzanghere. A un dicembre tribolato è succeduto un gennaio dove non è caduto un fiocco di neve, a febbraio abbiamo avute temperature da mese di aprile, con punte di 16 gradi. Una volta contavamo su coperture medie di oltre il metro e mezzo e i 10 metri di neve erano la norma. Ora ci accontentiamo di qualche decina di centimetri contrappuntati dagli agglomerati rocciosi che allignano qui e là. Compattare la neve naturale o creare le piste con l’innevamento artificiale – litigando con il meteo – non è la stessa cosa, anche dal punto di vista dei conti. Però “teniamo botta” con i nostri 2500 accessi del fine settimana, non pensiamo di poter tornare agli splendori delle settemila presenze degli anni d’oro né confidiamo che investimenti milionari possano garantire di per sé maggiori afflussi! Siamo forti del fatto che ai nostri clienti sono ben chiari i servizi che siamo in grado di offrire loro e ci apprezzano per questo: sanno bene quante stelle aspettarsi negli alberghi. Hanno imparato a far di necessità virtù gestendo le loro aspettative, spostando più in là quello che una volta si faceva a dicembre, concentrando le uscite nei week end, approfittando del mordi e fuggi quando si sa che ha nevicato».
Intanto qualcosa si muove dal punto di vista dell’offerta, per dare nuove opportunità di allungare e qualificare la permanenza: vuoi nell’evoluzione della proposta della ristorazione in quota nei rifugi, raggiungibili con ciaspole o sci , vuoi in baite attrezzate per happening serali approntati per gruppi, segnatamente giovanili; «…il fulcro rimangono le funi con le seggiole attaccate…ma si è messo in movimento un processo che andrà affinato, con successivi assestamenti e riaggiustamenti, ma è irreversibile: ora siamo aperti fino a tarda sera, quando una volta calava il buio e si fermavano gli impianti oggi arriva chi, magari, dello sci poco importa».
La sguardo di Calvetti, che vagheggia l’universo bianco dei suoi migliori anni, è rivolto al Montebello, sullo sfondo svetta il Corno Stella, una delle magnifiche cime lambite dal Sentiero delle Orobie. Più a occidente gli scheletri dei piloni sul monte Toro fanno triste mostra di sé, confabulano tra loro, disillusi sulle voci di un ripristino delle piste care a Mike Bongiorno: son fermi da 13 anni! «Andrebbero rimossi!», suggerisce il fotografo naturalista di fama Baldovino Midali, valligiano doc, che pure auspica la dismissione degli impianti sul San Simone per riportarlo ad area di grande naturalità. Ricca di fioriture di endemismi insubrici, di praterie alternate a macereti popolati di stelle alpine sul monte Cavallo, di fauna alpina della più varia di cui l’artista ha catturato fotogrammi indimenticabili è area vocata anche per escursioni invernali il cui motore, con ciaspole, sci o scarponi ai piedi, rimangono quei raffinati marchingegni a basso impatto ambientale rappresentati dalle nostre gambe. In altri comprensori la diversificazione procede spedita.
A cavallo tra le estreme propaggini occidentali bergamasche, quali Piazzatorre e Valtorta, dove esse si confondono con i contrafforti lecchesi della Valsassina, una società di gestione riunisce in un unico distretto, dai Piani di Bobbio a quelli d’Erna, località che si propongono di far incontrare tutte le fasce di amanti delle scivolate sulla neve dagli “absolute beginner”, alle famiglie con bambini, agli escursionisti tal quali. Sui Piani d’Artavaggio, luogo di straordinaria bellezza e rinnovata naturalità, smesso il modello unico della discesa domenicale su piste battute, sta affluendo in misura crescente una vasta gamma di turisti, viandanti, villeggianti che di quell’incanto vogliono fruire senza consumare, godere senza deturpare. Valloni e poggi si popolano di sciatori con le pelli di foca, ciaspolatori, camminatori delle nevi, quanto in altre stagioni di ciclisti di ogni fede (fat, mountain, e-bike), semplici gitanti senza timer, amanti di natura e buona cucina, compagini di escursionisti curiosi di osservare e godere del “lusso” gratuito di un luogo di grande ricchezza intrinseca, che comunica magia a chi la sa cogliere nella sua nuda bellezza.
Un afflusso che ha stupito e sorpreso: con il semplice passa parola, l’affluenza invernale degli appassionati di una montagna ripensata ha superato quello estivo e addirittura quello del periodo d’oro degli impianti. Qui il “beyond snow” macina risultati: 5 rifugi aperti costantemente, decine di addetti ingaggiati a tempo pieno. Ricetta che segna una direzione di marcia, che apre nuovi territori da esplorare a chi vuole coinvolgere attivamente le comunità locali e non voglia agganciare il proprio declino ad un modello unico. Quello dello sci di massa che ha intrapreso la via del tramonto, specialmente a quote ormai proibitive. Ne sanno qualcosa a Schilpario, Selvino, Lizzola, Zambla Alta, Oltre il Colle e Valcanale dove il sogno dei flussi turistici ed economici, legati agli sport invernali classici, si sono infranti contro l’evoluzione climatica, a cavallo tra i due secoli. Lì piloni e funi pencolano nel vuoto da tempo.
Lorenzo Berlendis