L’inquinamento luminoso è dovuto all’aumento della luminanza complessiva del cielo notturno, fenomeno che, laddove più intenso, porta ad una complessiva “scomparsa della notte”. L’inquinamento luminoso di origine antropica modifica in modo consistente sia l’ecosistema, con un impatto ambientale determinato dall’influenza sui ritmi circadiani legati ai cicli vitali delle piante e degli animali (Cinzano 1997, 2002; Dantini in Detheridge, 2003; Di Sora, 2009), sia il paesaggio, attraverso una mutata percezione dei luoghi e la ridotta (se non annullata) visibilità del cielo stellato.
Il fenomeno interessa a più livelli l’indagine territoriale, in quanto transcalare: muta l’ambiente locale e muta l’ambiente alla scala vasta. Infatti gli aggregati antropici diventano elementi distintivi del paesaggio notturno, intensificando la luminanza naturale del cielo (fino al 40%) anche per decine di chilometri nello spazio aperto.
Indirettamente la fine della notte è anche elemento importante per quantificare l’avanzare dell’antropizzato, identificare l’abitato.
In particolare, dal punto di vista bioculturale, si possono identificare tre aspetti dell’inquinamento luminoso indagabili attraverso la rappresentazione fotografica:
–       ecologici (pressione effettiva)
–       culturali (mutata interpretazione del paesaggio)
–       psicologici (percezione, uso e fruizione degli spazi).
L’interesse principale va alla relazione tra le prime due dimensioni, che determinando cambiamenti sui luoghi (ecosistemi e percezione umana), incidono (successivamente) sugli usi.
Alberto Di Gioia e Giacomo Chiesa

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