«Produrre derrate agricole di qualità in montagna costa più che in altri luoghi – spiega il professor Gianni Tamino, biologo all’Università di Padova e membro del Comitato nazionale per la sicurezza alimentare –, quindi l’unico modo con cui questi attori possono rimanere sul mercato è attraverso la filiera corta. Che abbassa i costi di distribuzione aumentando i margini del produttore. Perché fino a oggi la grossa distribuzione ha creato molti danni all’agricoltura di montagna, come molto danno hanno fatto le normative Ue». Normative che, sottolinea il professore, hanno causato la crisi dei piccoli produttori di montagna, non in grado di sostenere l’onere economico di una messa a norma dei propri impianti.
La filiera corta e il km 0, oltre a essere ormai una realtà, nascono anche da una contrapposizione di interessi tra produttori e sistema industriale. «Verso la fine degli anni ’90 persino la Coldiretti – continua il professore – prende coscienza dei problemi dei produttori, costretti a vendere a prezzi sempre più bassi per soddisfare un mercato imposto da grossi gruppi industriali». Tanto che anche grossi gruppi come Coop pare si stiano orientando verso negozi più piccoli. «Il futuro andrà verso centri commerciali più piccoli e maggiormente legati al territorio – dice Tamino –. Per scelta e necessità. Inoltre stanno nascendo un po’ in tutta Italia esperienze pilota di distribuzione alternativa, come la cooperativa creata a Padova da sindacati, Auser e altre realtà simili che ogni settimana distribuiscono pacchi di prodotti del territorio a prezzi ridotti e qualità garantita».
Anche Andrea Ferrante, presidente dell’Associazione italiana agricoltura biologica (Aiab), spiega come la cultura del biologico stia crescendo: «E parallelamente – sostiene – nonostante il periodo di crisi mondiale, cresce il consumo da parte di cittadini, più attenti e critici nei confronti del cibo. Negli anni passati non si è dato il giusto valore al cibo e si è pensato che potesse costare sempre meno. Ma questo è falso, e se non vogliamo che prolifichino lavoro nero e uso della chimica c’è bisogno di un cambiamento di cultura». Un aiuto per le valli alpine, sempre secondo Ferrante, può arrivare proprio dal settore pubblico. Dove ad esempio le mense scolastiche potrebbero appoggiarsi su prodotti del territorio a km 0.
In definitiva, conclude il biologo Gianni Tamino: «I giovani potranno tornare all’agricoltura di montagna solo se garantiti. O c’è la valorizzazione della loro produzione e quindi un riconoscimento, anche attraverso la creazione di reti distributive a filiera corta, oppure nella logica della globalizzazione scompariranno».
Maurizio Dematteis