Entro il 30 settembre la Giunta regionale definirà il quadro delle Unioni montane dei Comuni. Entro la fine dell’anno le loro funzioni. È l’impegno che si sono assunti il vicepresidente della Regione Piemonte Aldo Reschigna e l’assessore alla montagna Alberto Valmaggia prima della pausa di agosto. Incontrando il 18 luglio oltre trecento amministratori delle Terre Alte, Valmaggia e Reschigna sono stati chiari: «Ci confronteremo con i sindaci e gli amministratori locali, in modo che entro il 30 settembre sia completa la mappa del potere locale ridisegnata dalla riforma nazionale: Unioni dei Comuni, Province e Area metropolitana. Siamo convinti che con il confronto potremo fare un buon lavoro, pur in presenza di una legislazione regionale insufficiente. Ma non c’è tempo per cambiarla. Applicheremo i criteri di omogeneità territoriale e del sistema delle relazioni per accorpare organi più efficaci e più moderni, in grado di aiutare lo sviluppo dei territori. Nella nuova generazione di sindaci uscita dalle elezioni di maggio abbiamo visto attenzione su questi criteri, fino a voler ridefinire scelte fatte dalle amministrazioni precedenti, per costruire forme associative più forti».

Agosto non è mai mese di vacanza per gli amministratori delle Terre Alte. E così non lo è stato per Valmaggia e Reschigna (solo pochi giorni per entrambi lontano dall’ufficio). Quattro leggi regionali di riforma della governance e degli enti locali montani in cinque anni sono un fardello impegnativo per la nuova Giunta. L’ultima legge, quella varata dall’ex assessore alla Montagna Vignale, ha corretto solo in parte la legge 11/2012 targata Elena Maccanti. E così sul territorio è difficile fare ordine. Le Unioni “composte” finora sono una trentina. Ma si arriverà a quaranta, forse quarantacinque. Reschigna e Valmaggia non hanno messo un “limite”. Secondo le loro indicazioni, date anche nei primi incontri territoriali con gli amministratori in particolare nel nord del Piemonte (dove peraltro si registra la maggior frammentazione), i nuovi soggetti dovranno essere in grado di gestire adeguatamente i servizi in forma associata per i Comuni (come previsto dalla legge nazionale) e le politiche di sviluppo. Un binomio che impone una riflessione sulle dimensioni: gli enti non dovranno essere troppo piccoli (difficile stabilire una soglia minima di abitanti, visto che le leggi regionali hanno continuato a prevedere deroghe) e quelli più grandi (alcune Unioni superano i 30mila abitanti) potranno creare all’interno degli “ambiti” per meglio organizzare i servizi, tra i quali trasporti e socio-assistenziale. E se il Cuneese si sta già organizzando per vallate, secondo le aste fluviali sul modello delle Comunità montane ante riforma del 2009, restano più “critiche” le situazioni della Valle Susa (con tre Unioni possibili, oltre alla Val Sangone già separata), il Canavese (tre, forse quattro Unioni e altri Comuni non inclusi, pronti solo a ricorrere al più debole strumento associativo qual è la convenzione), il Vco dove la “grande Ossola” si è frantumata in diverse Unioni più piccole. Le elezioni di maggio – oltre 400 i Comuni montani al voto – hanno in molti casi modificato l’assetto precedentemente raggiunto. E se ci sono sindaci che chiedono alla Regione di accelerare il percorso, mostrando Statuti e Consigli delle Unioni già pronti (ad esempio dalla Valle Cervo Maurizio Piatti ha chiesto di fare in fretta, per non rischiare ulteriore caos), altri amministratori sono ancora alla finestra e puntano a restarci più a lungo possibile, appellandosi al fatto che Stato e Regione potrebbero ancora cambiare la normativa.
Uncem non ha dubbi: perdere ulteriore tempo rende più debole il territorio montano e tutti i suoi enti. Specialmente alla vigilia del nuovo periodo di programmazione europeo. Settembre deve essere utilizzato per definire le competenze e le funzioni degli enti – pianta organica e bilancio – nonché l’entità del fondo regionale necessario per le Unioni. «Deve essere almeno di 15 milioni di euro – ribadisce il presidente Uncem Piemonte Lido Riba – con cespiti chiari e utilizzo a vantaggio di progettualità concrete e cofinanziamento di progetti, comunitari e non». Da risolvere anche i problemi legati al commissariamento delle Comunità montane: «Abbiamo sempre sostenuto che la nomina di commissari poteva rendersi necessaria solo in caso di contenzioso e che, comunque, i commissari non dovevano essere nominati prima della costituzione delle Unioni destinate a succedere alle Comunità cessanti. Le quali, peraltro, fino al suddetto trasferimento avrebbero dovuto continuare, come di fatto hanno continuato a funzionare normalmente. Le nomine dei commissari costituiscono di per sé un’emergenza che come tale va superata al più presto possibile».
Enrico Borghi, deputato e presidente nazionale Uncem, ribadisce: «I sindaci devono diventare i protagonisti della guida del processo di nascita delle Unioni Montane, delle Città Metropolitane, delle Unioni. Devono prenderne la guida per evitare che riparta la spinta verso le fusioni obbligatorie. E devono farlo in modo che funzioni, altrimenti il tema si riproporrà… Il clima del 2007 non è cambiato. Rizzo e Stella sono tornati a dire che bisogna chiudere i Comuni sotto i 15mila abitanti, chi non avesse capito questa atmosfera deve svegliarsi. Anche perché non è più in discussione il se, ma il come. E se non saremo pronti, qualcuno ci sostituirà».
Marco Bussone