Charles Darwin ci ha dimostrato come in natura non sia la specie più forte o la più intelligente a sopravvivere, ma quella che è predisposta al cambiamento. Ecco il senso del termine “Resilienza” applicato alla sociologia: capacità di resistere ad un urto, adattarsi e ritornare alla forma iniziale assorbendo e sfruttando l’energia rilasciata dopo la deformazione.
Ed ecco la grande sfida delle comunità alpine: ciò che non si è riusciti a fare nel dopoguerra, con il boom economico (per le aree urbane), siamo costretti ad impegnarci perché accada oggi. Con una differenza, non così irrilevante. Allora, il grande dramma economico e sociale che colpì la nostra montagna fu sostanzialmente individuale, una tragedia di tanti singoli che non riuscirono, non poterono reagire a quelle avversità facendo scivolare a valle, silenziosamente, migliaia di persone per contribuire a garantire con manodopera lo sviluppo del paese. Oggi la crisi riguarda tutti, riguarda il mondo e si declina sostanzialmente su tre direttrici: sanitaria, ambientale e socioeconomica. La crisi globale Covid-19 ha fatto emergere molte disuguaglianze e ingiustizie che segnavano quella “normalità” e le scelte infauste che le hanno prodotte. Oggi siamo nel mezzo della discussione sui diversi modi di approccio alla ripartenza per ridurre tali disuguaglianze. Io credo si possa rispondere con un progetto che metta al centro del futuro la giustizia sociale e ambientale e che persegua questi obiettivi modificando gli equilibri di potere e i dispositivi che producono le disuguaglianze. Giustizia ambientale per la montagna significa costruire un progetto che, reagendo a un inedito e pericoloso clima globale, vuole cogliere la possibilità di rivitalizzare luoghi montani abbandonati (all’interno di un progetto governato, lungimirante e di respiro nazionale, che non si lasci travolgere dall’emergenza e dall’improvvisazione) in nuove comunità sostenibili, in gran parte autosufficienti dal punto di vista energetico e agricolo e in nuove esperienze culturali e sociali. Un progetto che si deve trasformare anche nella coltivazione di un sogno, nell’avventura del recupero del retaggio storico della comunità, nel trasmettere ai nostri figli un piccolo pezzo di mondo vivibile e migliorato rispetto alle sue condizioni attuali. Se c’è una cosa che dobbiamo imparare o che abbiamo imparato è che questo Paese riparte se sa guardare ai suoi territori e alla voglia di fare comunità. Si costruisce futuro, solo se consapevoli che tutto sarà nuovo rispetto al passato. La pandemia ha aiutato molti a spostare la propria attenzione dagli spazi puramente individuali alle responsabilità collettive. Possiamo sperare che sia nata una maggiore consapevolezza del “noi”, non in contrapposizione agli interessi individuali ma come garanzia degli stessi. La consapevolezza del “noi” richiama la responsabilità di ciascuno nel compito di costruire “comunità”, a cerchi concentrici e tra loro interconnessi, che parta dalla dimensione locale, si integri in quella regionale e nazionale e si arricchisca nell’ambito dell’Europa senza dimenticare il pianeta come patria dell’umanità intera. Perché l’emergenza ambientale è, da noi, prima di tutto un’emergenza sociale e il grande rischio che corriamo, se non c’è risposta comunitaria ma ci si affida ancora una volta al modello individualista, è che la transizione green si trasformi di nuovo in una grande beffa e in altre disuguaglianze per i nuovi abitanti delle Alpi: situazione che ci allontanerebbe definitivamente dal nostro futuro.
E cosi, quando vedo le nostre case villaggio abbandonate, capisco che quelle erano le risposte giuste alle necessità della socialità e dell’economia di allora; oggi, le risposte innovative alla sfida di un futuro più giusto socialmente e ambientalmente vanno ancora ricercate nelle comunità che, nei nostri territori, hanno già prodotto antidoti e sviluppato anticorpi in più. Oggi sono già operativi nuovi modi per lo Stato di essere vicini ai cittadini.
Parliamo di “comunità villaggio” di una valle intera, di scuole di valle per la comunità e non solo per i ragazzi, di comunità energetiche vere per una nuova gestione dell’energia, di nuovi modelli di fare impresa con le “Cooperative di comunità”, di case della salute e di infermieri di comunità; ma parliamo anche di servizi di trasporto condivisi, parliamo di un servizio di tpl, funzionale alle necessità dei cittadini e non delle società di trasporto, basato su mezzi più piccoli ed ecologici lungo gli assi delle valli e poi collegamenti veloci su rotaia per raggiungere i centri urbani di riferimento; parliamo di mantenimento dei servizi anche attraverso il sostegno alla sperimentazione di soluzioni innovative. L’utilizzo delle ICT è un passo importante in questa direzione perché contribuisce all’espletamento dei servizi in tre direzioni: la consultazione di base (informazioni pratiche), il teleservizio (applicato per l’espletamento di pratiche), la video-comunicazione (applicata per formazione a distanza, telemedicina, etc.). Poi c’è il tema della formazione, rispondente alle richieste espresse dai nuovi modelli di sviluppo sostenibile e legata alle risorse del territorio. Si tratta di una questione assolutamente centrale, in primo luogo perché riconosce l’importanza della trasmissione della storia e dell’identità delle popolazioni alpine, dell’acquisizione di consapevolezza di quelle che sono le risorse che il territorio alpino offre (anche in termini di saper fare) e che possono essere messe in valore attraverso vecchi e nuovi mestieri, operando un passaggio dalla tradizione alla modernità. In secondo luogo, tale questione rimanda alla possibilità/necessità di sostenere luoghi di eccellenza scientifica e culturale e, infine, la sua importanza riguarda la costruzione di connessioni tra i giovani e la cultura alpina, connessioni entro le quali si riproduce una parte importante della cultura alpina stessa.
Perché le Alpi consentono una cosa unica: compenetrazione orizzontale delle trame costruite e naturali; riconnessione verticale dei luoghi del lavoro e dell’abitare; compresenza e commistione di ordini spaziali, temporali e culturali diversi; possibilità di praticare attività e stili di vita molteplici e differenti. Costruire insomma una nuova e inedita abitabilità della montagna. Questa è la sfida che ci attende.
Roberto Colombero
e una impostazione programmatica molto solIda e culturalmente moderna…una base per il futuro
lavoro. uncem. complimenti