Esiste un’architettura alpina? Ovviamente no. Per coloro che, non soddisfatti della raffinata saggistica di settore da Bruno Reichlin a Antonio De Rossi (da non perdere i suoi due recenti volumi su La costruzione delle Alpi. Immagini e scenari del pittoresco alpino 1773-1914 e Il Novecento e il modernismo alpino 1917-2017, Donzelli, 2014-2016), nutrissero ancora dubbi in proposito, gli esiti della Rassegna Architettura Arco Alpino, alla sua prima edizione, fugano ogni dubbio. 246 opere realizzate dal 2010 al 2016 (nei territori delle province italiane afferenti al comparto geografico della Convenzione delle Alpi), autocandidate da 149 studi professionali (per massimo tre interventi cadauno), sono già un significativo campione.
L’iniziativa, promossa dalla neonata associazione Architetti arco alpino (Aaa), costituisce il contraltare italiano del Premio Constructive Alps, riguardante l’intero comprensorio alpino (giunto alla quarta edizione con la selezione dei finalisti e prossima proclamazione il 4 novembre) e si colloca nel solco di Neues Bauen in den Alpen, riconoscimento promosso da Sesto Cultura (Val Pusteria, Bolzano) tra il 1992 e il 1999.

Come rilevato anche dalla giuria (Bernardo Bader, Sebastiano Brandolini, Quintus Miller), impossibile ricondurre a unità il tutto, dati i differenti scenari fisici, politico-amministrativi, socio-economici, culturali. Ma soprattutto, scorrendo i progetti, si percepisce un sostanziale iato tra gli interventi che interpretano e fanno propri i peculiari e difficili contesti – geomorfologici, simbolici e antropici – di una cosiddetta montagnité (per citare ancora De Rossi con Roberto Dini in Architettura alpina contemporanea, Priuli & Verlucca 2012), e quelli che, magari di grande qualità, risultano invece “semplicemente” costruiti nello spazio geografico alpino. In altre parole, si possono talvolta riscontrare più caratteri di “alpinità” alle Cinque Terre che non a Trento o ad Aosta città.
Così, scorrendo la shortlist dei 22 selezionati (con nomi che a volte ricorrono troppo insistentemente, con due se non tutte e tre le candidature incluse), i progetti patinati (tendenzialmente da Sondrio in là, con gli altoatesini in testa; scuole, residenze, servizi), convivono accanto a quelli più “grezzi” e magari meno fotogenici (tendenzialmente da Sondrio in qua: recuperi di edifici e borgate). Con salomonica decisione, la giuria ha sancito tale doppio binario di lettura geografico-fenomenologica nel laureare i quattro vincitori: due a est, concentrati in Sudtirolo (con le residenze di feld72 che paiono piuttosto “stonate” rispetto al coro, e la fin troppo perfetta sistemazione della piazza dell’abbazia di Novacella); due a ovest, concentrati nel Cuneese (il paradigmatico recupero di Paraloup e l’intervento alla piccola scala – 9 mq; troppo piccola? – di StudioErrante).
Luca Gibello, tratto da “Il giornale dell’architettura”