Nei dieci anni di attività di Dislivelli clima e ambiente alpino sono mutati in peggio. La concentrazione di Co2 nell’aria, rilevata a Plateau Rosa (3488 m, Cervinia) e analizzata da Rse (Ricerca sul Sistema Energetico) e Università di Torino, è aumentata di circa 23 parti per milione sfiorando ora le 415 ppm come nel resto del mondo, valore massimo da tre milioni di anni. Le temperature medie sono salite di mezzo grado Celsius rispetto al già caldo decennio precedente (1999-2008), dal 2009 si sono concentrati sette dei dieci anni più caldi degli ultimi due secoli (in ordine decrescente di temperatura: 2015, 2018, 2017, 2011, 2014, 2009 e 2016), e pure il 2019 si avvia a entrare in questa infausta classifica. Dopo l’estate 2003 che ha fatto da apripista a ondate di calura mai viste prima in Europa, altri eccezionali episodi canicolari hanno interessato le Alpi, come nell’agosto 2012 e soprattutto a fine giugno 2019, quando per la prima volta si è superata la soglia dei 40 °C in Val d’Aosta perfino a quote di 800 metri, inoltre si sono registrati nuovi record assoluti – da Ovest a Est – di 34,3 °C a Bardonecchia, 38,1 °C a Cuneo, 37,0 °C a Varese, 39,8 °C a Merano e 35,9 °C a Tarvisio.
Le precipitazioni hanno fluttuato irregolarmente, ma analizzando le tendenze secolari il rapporto svizzero “Ch2018” ha identificato un aumento di frequenza delle piogge intense nel 92% delle stazioni elvetiche. Tra le grandi alluvioni alpine ricordiamo quelle dell’1-2 novembre 2010 sulla pedemontana veneta, del 24-25 novembre 2016 sulle Alpi Liguri, e soprattutto le disastrose piene causate dalla tempesta “Vaia” il 28-29 ottobre 2018 nelle valli dall’Adamello alla Carnia, insieme a raffiche di vento a 200 km/h che hanno sconvolto le foreste abbattendo milioni di alberi e interrompendo strade e linee elettriche. Ma ben più numerosi sono stati i violenti temporali estivi, tra cui il 18 luglio 2009 a Borca di Cadore (2 vittime), il 4 agosto 2012 presso Vipiteno (4 morti) e il 4 agosto 2015 di nuovo in Cadore, a San Vito (3 vittime). Anche la siccità ha dato problemi, in particolare nel 2017, anno più asciutto in Italia dal 1800 in compagnia del 1928 e del 1945 secondo il Cnr-Isac. A fine ottobre incendi di estensione inedita hanno bruciato circa 70 km2 di territorio tra Cuneese e Torinese, gran parte dei quali in Val di Susa, e un anno dopo un altro grave incendio ha interessato l’Agordino. Nei giorni di Natale del 2011, 2015 e 2016, in piena stagione sciistica le piste erano spoglie o imbiancate solo grazie al costoso innevamento programmato, e proprio l’inverno 2016-17 è stato uno dei più poveri di neve in mezzo secolo sulle Alpi orientali. Non sono mancati inverni molto innevati, come il 2013-14 soprattutto dall’Ossola verso Est (a Cortina si spalava la neve dai tetti; 6,5 m di spessore nevoso a 1800 m sulle Alpi Giulie), grazie però a precipitazioni eccezionali e non a un freddo anomalo, infatti sotto i 1200 m ha prevalso la pioggia. Quanto ai ghiacciai, nell’ultimo decennio sono ancora in pesante regresso: dal 2009 al 2018 la perdita di spessore totale in equivalente d’acqua è stata di -8,3 m al ghiacciaio del Basodino (Canton Ticino), -10,6 m al ghiacciaio della Sforzellina (presso il Passo del Gavia), -12,6 m all’Hintereisferner (Ötztaler Alpen), -12,8 m al Ciardoney (Gran Paradiso), -16,7 m al Careser (Ortles-Cevedale) e perfino -25,4 m al Glacier de Sarennes (presso l’Alpe d’Huez), sito glaciologico misurato fin dal 1948 e ora quasi estinto. Le lingue frontali di grandi ghiacciai come Prè de Bar (Monte Bianco), Lys (Monte Rosa) e Forni (Ortles-Cevedale) si sono disgregate impedendo la prosecuzione di serie di misura secolari, e la moltiplicazione di laghi effimeri per l’aumento della fusione in quota ha richiesto interventi di mitigazione del rischio di alluvioni a ciel sereno (Lago Grand Croux, Cogne; Lac des Faverges, Vallese). Il nuovo Catasto dei Ghiacciai Italiani pubblicato nel 2015 da Claudio Smiraglia e colleghi dell’Università di Milano censiva 622 unità glaciali estese su 364 km2 intorno al 2010 (-27% di superficie rispetto al precedente Catasto 1961-62), in ulteriore contrazione negli anni più recenti, e senza riduzioni dei gas serra le simulazioni del Politecnico di Zurigo, coordinate da Harry Zekollary, prevedono la scomparsa di oltre il 90% del volume di ghiaccio alpino entro il 2100. Lo scongelamento del permafrost accelera l’instabilità dei versanti e ha contribuito a centinaia di crolli rocciosi dal Monte Bianco, al Monte Rosa, all’Adamello, fino alla grande frana del 23 agosto 2017 sul Pizzo Cengalo (4 milioni di m3), che ha fatto 8 vittime e invaso con fango e detriti il paese svizzero di Bondo (Val Bregaglia). L’inquinamento è giunto anche sulle Alpi: ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca hanno rinvenuto nel ghiacciaio del Lys (Monte Rosa) pesticidi utilizzati dall’agricoltura padana, e 75 frammenti di microplastiche per ogni chilogrammo di detrito superficiale del ghiacciaio dei Forni. Nell’era dell’Antropocene, il territorio incontaminato non esiste più, nemmeno a 4000 metri.
Luca Mercalli