I quattro passi attorno al massiccio dolomitico del Sella sono attraversati da circa due milioni di veicoli l’anno, il dato è di uno studio EURAC. Sulla strada sotto le cime di Lavaredo annualmente si contano poco meno di 100.000 veicoli tra auto e autopullman privati, concentrati soprattutto nei mesi estivi. Sono numeri enormi, mal sopportati dai sensibili ambienti delle alte quote. Un altro esempio di criticità da veicoli a motore, purtroppo non unica nel suo genere, è quello dell’alta Val Susa dove le belle strade bianche, ma anche i sentieri o addirittura le piste da sci, in estate si trasformano in accampamenti provvisori per molte centinaia se non migliaia di fuoristrada e moto. L’impatto che ne consegue è devastante per inquinamento da gas di scarico ed acustico nei confronti di questi delicati ambienti e dei loro abitanti. Eppure c’è ancora chi ritiene che la preclusione di strade o sentieri alle auto e alle moto sia sul filo della costituzionalità. Come se la montagna continuasse a essere un territorio di conquista, dove ognuno ha il diritto di affermarsi in una sorta di esaltazione collettiva di marinettiana memoria.
Fortunatamente il mito dell’auto senza limiti progressivamente sta crollando sotto il peso della realtà: inquinamento, gas serra, ma anche incidenti comprovano il tributo sociale e ambientale pagato. Non a caso la sperimentazione della chiusura ai veicoli a motore del Passo Sella, dove normalmente transitano fino a seimila veicoli in un solo giorno, lanciata da Messner e accolta nel 2017 fu la reazione all’ennesimo incidente mortale in bicicletta di un campione di sci nordico. Sempre in quell’area dall’estate scorsa è iniziato il progetto del comitato “Car is over”, un progetto pilota per la regolamentazione dei passi dolomitici intorno al gruppo del Sella con due ore di chiusura tutti i giorni dalle ore 10:00 alle ore12:00, domenica e festivi inclusi da metà giugno a fine settembre. Due ore possono sembrare poche ma in realtà hanno un forte potere simbolico e formativo. Sono un esplicito invito al cambiamento, ci segnalano come la mobilità turistica a causa dell’aumento enorme delle presenze soprattutto estive sia una questione non più rimandabile. Una mobilità sostenibile in quota è una necessità sempre più impellente e le amministrazioni hanno il dovere di trovare nuove soluzioni per offrire una fruizione della montagna rispettosa dei luoghi e degli abitanti, anche bypassando le lamentele degli operatori locali timorosi di perdite economiche. Il successo delle limitazioni ai percorsi “fuori strada” della Val Maira dimostra esattamente il contrario. C’è poi il problema degli spostamenti all’interno delle Alpi di chi ci vive e lavora o studia. Laddove le condizioni del territorio lo consentono, c’è l’urgenza di trovare un’alternativa rispetto ad una modalità ancora oggi in prevalenza basata sull’auto privata, ben sapendo che la dispersione della domanda di trasporto è la ragione principale della difficoltà per la mobilità sostenibile ad affermarsi nella gran parte delle valli montane. Ma la mobilità sostenibile, ad “emissioni basse” e quindi anche elettrica, deve funzionare per tutti, territori deboli compresi. Un’offerta di mobilità sostenibile se è più facile nelle aree urbane non può però essere trascurata nelle aree montane. Anche in montagna occorre spingere su modalità di spostamento alternative, come oggi è possibile grazie alle innovazioni nel trasporto ferroviario ed elettrico, nella digitalizzazione per l’integrazione dell’offerta e nei bus a chiamata, nello sviluppo della mobilità dolce, con bicistazioni e servizi di noleggio.
Sono tanti gli esempi positivi già messi in pratica nelle Alpi oltre confine, dal progetto Alpin Perls alla straordinaria rete di trasporto pubblico che offre la Svizzera. Essi dimostrano come oggi sia possibile immaginare e proporre progetti ambiziosi di cambiamento per arrivare a spostamenti a emissioni molto basse e fare delle nostre montagne un modello virtuoso di transizione ecologica. Le scelte da intraprendere devono essere chiare e senza compromessi proprio perché dove si è investito il successo nel numero dei viaggiatori è stato immediato. Come per i viaggiatori al giorno sulle ferrovie dell’Alto Adige, passati da 11.150 nel 2009 a quasi 30mila nel 2019, ed in Trentino, da 13mila nel 2009 ad oltre 28mila nel 2019. Altrettanto consistente è varietà di strumenti messa a disposizione dalle nuove tecnologie. Tra questi l’integrazione tariffaria, poiché uno degli aspetti più importanti riguarda proprio la possibilità di usufruire delle diverse tipologie di trasporto con un unico titolo di viaggio. Un altro tassello fondamentale è rappresentato dalla rete di piste ciclabili, da potenziare nell’offerta sia per i turisti sia per chi usa quotidianamente la bici.
Mobilità e grandi eventi. La mobilità nelle aree turistiche alpine rappresenta una problematica di base che rischia di esplodere alla presenza di grandi eventi. La soluzione però non risiede nel costruire nuove strade ed autostrade in luoghi ambientalmente e paesaggisticamente fragili, ma al contrario nello sviluppo di soluzioni intelligenti e sinergiche tra la mobilità turistica e la mobilità locale. Le Olimpiadi e Paralimpiadi di Milano-Cortina 2026 avrebbero potuto rappresentare un’importante occasione per lasciare sul territorio un’eredità utile per abitanti e turisti, oltre che per rivedere le modalità di trasporto attraverso le Alpi in un’ottica di sostenibilità ed in coerenza con quanto richiesto dai protocolli delle Convenzione delle Alpi. Peccato che questa occasione di pianificazione di un modello di mobilità alternativa nelle Alpi sia andata persa.
Le suggestioni qui poste vogliono innanzitutto richiamare l’attenzione sulla necessità di una pianificazione complessiva al momento assente, un Piano per la mobilità nelle Alpi, del quale occorrerebbe la presa in carico del Ministero delle infrastrutture e da costruire insieme alle Regioni. La transizione ecologica non si attua se si trascura il settore trasporti e la sola realizzazione di infrastrutture, come sta accadendo per l’area olimpica, non accompagnata da opportune politiche trasportistiche, è dannosa per l’ambiente oltre che del tutto inadeguata a perseguire l’obiettivo della mobilità sostenibile nel suo complesso.
Vanda Bonardo