In una mattina d’inverno come tante altre, in una classe di una scuola dell’infanzia cittadina, una bimba di quattro anni sente l’esigenza di raccontare a tutti i compagni e alle maestre di essere andata in montagna. Questo è un racconto fatto con dovizia di particolari, che riguardano tutto ciò che di divertente è stato fatto con la famiglia: una giornata sulla neve, battaglie di palle di neve, meravigliose discese con il bob, parole piene di stupore che rivelano quanto gli occhi hanno colto. Sembrano piccole cose, ma sono esperienze di vita legate alla comprensione del mondo. Amare, anche successivamente, i luoghi partendo da queste.
Il problema è che questi bambini hanno spesso poca possibilità di fare esperienze di luoghi, diverse dalla città. Per fattori tra loro combinati: ora nelle grandi città anche economici e sociali.
Nella mia esperienza pluriennale come maestra di una scuola dell’infanzia della città di Torino ho spesso condotto attività che riguardano la percezione dei luoghi e dei paesaggi da parte dei bambini. Quando iniziano a frequentare la scuola dell’infanzia, a tre anni, i bambini sono già “portatori” di esperienze legate allo spazio, sono cresciuti in un ambiente che hanno osservato, percepito, misurato in maniera informale, esplorato con tutti i sensi. I bambini vivono, giocano e imparano sopra a un palcoscenico fisico, che attiene alla dimensione spaziale, interagendo con gli altri e con oggetti e materiali contenuti negli spazi. Nel confronto con lo spazio fisico conoscono il confine di sé, del proprio essere fisico e cognitivo e costruiscono nel fare ciò, la propria identità.
Per un bambino “cittadino” lo spazio vissuto, conosciuto, è la casa, i dintorni di essa, il quartiere, la scuola, il parco, ecc. e tutti i percorsi che legano i vari luoghi tra loro. Dunque, se consideriamo che i bambini e le bambine in questa fascia di età raccontano ciò che vivono e apprendono dal vissuto, avranno difficoltà anche solo ad immaginare un luogo differente da quello abitato.
È dunque molto complicato “insegnare” ciò che per i bambini così piccoli è astratto, distante, non vissuto, ancor di più quando si tratta di un ambiente non vissuto.
Io però credo fortemente che occorra “allenare” lo sguardo dei bambini ad osservare la complessità del mondo, nella sua meravigliosa differenza, ampliando il più possibile la conoscenza di ambienti “altri” rispetto a quello di vita.
E allora, da quel racconto fatto da una bimba “turista per caso”, abbiamo costruito un percorso che permettesse a tutta la classe di conoscere la montagna, un ambiente nuovo per tanti bambini della classe.
La discussione in circle time ha permesso di mettere in comune le esperienze facendo riflettere sulle differenze, ma anche, e soprattutto, sulle similitudini, nel senso che occorre che prendano consapevolezza di quali sono le peculiarità di ambienti cosi differenti, impedendo però la strutturazione di stereotipi che, se non anticipati da un ragionamento critico, saranno difficilmente abbandonati.
E allora scopriamo che: la montagna è “una cosa alta alta alta che puoi fare un pupazzo di neve” e ancora: “Le montagne sono altissime” se le guardiamo da distanti, dalla nostra prospettiva cittadina, ma quando ci arriviamo, la prospettiva cambia un po’ e “sono molto grandi”. Sono fatte a punta (quale migliore definizione della montagna che parte dalla sua forma, soprattutto quando chi parla mette le mani a triangolo, aggiungendone l’idea di pendenza), c’è il ghiaccio e si può scivolare”. “Sì e quando c’è inverno e andiamo in montagna c’è la neve in punta”.
E ancora: “la montagna è per sciare”, ma anche per “scalare”, per “salire”, anche “le macchine salgono” ed ecco l’dea di un dislivello.
E però in montagna “non ci sono le navi!!!”
Poi si scopre che qualcuno è andato in montagna anche quando non c’era la neve, e vi ha trovato un tesoro: una foglia “pulita” durante una passeggiata.
A questo punto, per capire in quale modo i bambini hanno percezione della montagna proponiamo di fare un disegno, che per i bambini è racconto, parola, emozione: ciò che viene rappresentato è davvero “lontano”, si basa su supposizioni, il paesaggio è composto da pochissimi particolari, che assomigliano a quelli degli ambienti che conoscono, loro stessi non si inseriscono nelle grafiche.
Decidiamo di organizzare una serie di uscite didattiche in un luogo di montagna, in stagioni differenti, in modo da offrire ai bambini e alle bambine la possibilità di esperire concretamente l’ambiente montano, di osservarlo, di esplorarlo. Prima delle uscite, “raccontiamo” il luogo ai bambini con video, foto e proponiamo la lettura di storie e albi illustrati a tema montagna.
Quando siamo sul posto, raccogliamo tesori: foglie, rami, sassi e pigne e li confrontiamo con ciò che troviamo nel giardino o nel parco del quartiere.
Dopo le uscite, alla richiesta rivolta ai bimbi e alle bimbe di fare nuovamente un disegno, osserviamo che questi si riempiono di particolari riferiti al luogo visitato, in cui si vedono i piccoli autori impegnati nelle attività di esplorazione del paesaggio proposte durante le visite, indice di un coinvolgimento emotivo profondo nei confronti dell’ambiente vissuto.
Il mio è un invito ad andare in montagna. A far uscire i bambini dalle scuole il più possibile, organizzare uscite sul territorio.
Paola Gino, già insegnante di scuola dell’infanzia per 25 anni in città, ora insegnante primaria in Val Sangone.