Le migrazioni interne attirano mediamente un’attenzione decisamente minore a livello sociale e politico rispetto a quelle internazionali, su cui invece si focalizza tanta parte del dibattito sui movimenti di persone. In realtà, come è noto agli studiosi di settore e alle organizzazioni mondiali quali IOM (International Organization for Migration), la maggior parte dei flussi migratori sono tuttora interni ai vari paesi, o tra paesi limitrofi, oppure ancora sono spostamenti interni a macroregioni nei vari continenti. E le previsioni di medio-lungo termine indicano un probabile incremento di tali spostamenti, il cui peso numerico crescerà in modo più significativo rispetto ai movimenti transfrontalieri, intra o inter continentali. Tra le cause di tali movimenti, spiccano proprio le ragioni ambientali e in particolare gli effetti drammatici del cambiamento climatico in termini di siccità, alluvioni, eventi estremi, carestie e anche conflitti per l’accesso alle risorse territoriali.

Nonostante solitamente non sia etichettata a livello di media e di opinione pubblica come “migrazione interna”, la mobilità residenziale è un fenomeno che sta tornando oggi di nuovo rilevante anche nel nostro Paese, non tanto rispetto agli spostamenti da una regione all’altra (che non rappresentano una novità), quanto invece ai trend emergenti di spostamento interno alle regioni stesse, anzitutto dalle aree urbane a quelle rurali e montane.

Come evidenziato infatti dalle diverse ricerche condotte sul tema in anni recenti (di cui la stessa Dislivelli è stata spesso soggetto promotore, come l’associazione Riabitare l’Italia), in Italia, dopo decenni di abbandono delle aree montane delle Alpi e degli Appennini (la più significativa migrazione interna – inter e intra regionale – vissuta nella storia unitaria e coincisa con un massiccio inurbamento delle popolazioni rurali), è stato documentato negli ultimi 15-20 anni un flusso crescente, ancorché ancora numericamente contenuto, verso le aree interne, in particolare quelle alpino-appenniniche: si tratta di movimenti che riguardano sia cittadini italiani (i cosiddetti “nuovi montanari” o “neo rurali”), sia migranti internazionali, soggetti spinti da un mix di fattori molto articolati, tra i quali quelli ambientali e climatici iniziano a rivestire un ruolo non irrilevante (come nel caso dei cosiddetti “montanari per necessità” e “montanari per forza”), in relazione complessa con altri fattori (culturali, economici, di mobilità e, oggi, legati anche alla pandemia)

Queste nuove forme di migrazione e di mobilità residenziale interessano in larga parte territori colpiti da decenni di spopolamento e invecchiamento della popolazione residente rimasta, fenomeno che ne ha indebolito drammaticamente la struttura socio-demografica, l’economia e conseguentemente la capacità di cura e manutenzione di paesaggi fortemente antropizzati. Le aree interne e montane del Paese sono dunque per la maggioranza divenute territori fragili, oggi ancora più esposti a molteplici rischi (frane, incendi, siccità…), in relazione al crescente manifestarsi di eventi estremi collegati al cambiamento climatico. Secondo l’ISPRA, ben il 91% dei comuni italiani è infatti soggetto a dissesto idrogeologico (dati al 2017) ed oltre 3 milioni di nuclei familiari vivono in queste aree ad alta vulnerabilità. Complessivamente, il 16,6% del territorio nazionale (50.000 km2) è mappato nelle classi a maggiore pericolosità per frane e alluvioni. Consideriamo poi che la nostra penisola si colloca in un’area mediterranea,che si configura come un hotspot del cambiamento climatico: sempre secondo i dati di ISPRA, dal 2010 al 2018 sono stati 198 i comuni italiani – in grandissima parte in aree interne e montane – colpiti da eventi climatici disastrosi, con 157 vittime e oltre 45.000 sfollati a causa del maltempo; considerando invece le aree urbano-metropolitane, essenzialmente  di pianura o costiere, tra il 2005 e il 20016 si sono contati oltre 4.000 decessi, in 23 città, collegabili a ondate di calore.

Dunque le migrazioni interne al Paese, sia a livello attuale sia previsionale, interessano in modo crescente la relazione tra aree urbano-metropolitane e aree interne/montane, evidenziando da un lato le molteplici opportunità ad esse collegate rispetto alla resilienza e a un nuovo sviluppo dei territori marginalizzati (a partire da micro-imprenditorialità, cura del territorio e dei beni comuni, innovazione sociale, ecc., innescate dal neo popolamento), ma d’altro canto anche i rischi, dovuti al loro possibile impatto critico rispetto ad ecosistemi e comunità fragili, sotto diverse angolazioni, e nei quali gli effetti del climate change possono tradursi in minacce crescenti per gli abitanti storici e neo insediati.

Sulla base di queste analisi (e considerati i dati di una precedente indagine, condotta da GSSI e IOM lo scorso biennio negli Appennini meridionali), è stato concepito e avviato a gennaio 2023 MICLIMI (Migrazioni Climatiche e Mobilitià Interna nella Metromontagna padana); il progetto, finanziato da Fondazione CARIPLO, è promosso dalla neonata associazione EU.Cli.Pa.it APS (European Climate Pact Italy), che riunisce un gruppo di “ambasciatori del clima” italiani, nominati dalla Commissione Europea con lo scopo di favorire la sensibilizzazione dell’opinione pubblica sui temi ambientali e climatici in relazione al “Patto per il clima” promosso dalla UE.

Il comitato tecnico-scientifico del progetto vede la partecipazione di diversi esperti sul tema, afferenti al GSSI dell’Aquila, all’Università di Torino, all’Università Statale di Milano, alla Società Meteorologica Italiana/Nimbus, ad IOM Italia e alle Città Metropolitane di Torino e di Milano. L’obiettivo di MICLIMI è quello di investigare, quantificare e comprendere il fenomeno della migrazione interna per cause o concause climatiche, con particolare riferimento alla metromontagna padana del nord-ovest, ovvero al territorio interconnesso ai poli di Milano e di Torino, e che ricomprende il tessuto urbano e di pianura delle città lombarde e piemontesi, unitamente a quello montano e interno delle valli alpine e appenniniche. I dati raccolti serviranno non solo a descrivere e quantificare il fenomeno in questione ma anche a identificare in un secondo momento le dinamiche di adattamento reciproco tra neo abitanti e residenti storici delle aree interne e montane, unitamente alle opportunità legate al ripopolamento di aree remote e spesso abbandonate, in rapporto a nuove forme di cura e ripristino del territorio, come risposta resiliente e innovativa rispetto proprio alle nuove fragilità provocate dai cambiamenti in atto nel clima.

La prima fase del progetto prevede uno studio sulle principali caratteristiche del sistema socio- territoriale della metromontagna padana, finalizzato a definirne il quadro socio-ambientale e climatico generale, in rapporto agli elementi che possono fungere da push factor per la migrazione dalle città alle aree montane, così come alle fragilità che possono costituire fattori di rischio nei territori di arrivo dei nuovi abitanti. L’analisi del quadro complessivo dei push e pull factor porterà a identificare un “indicatore integrato di potenziale migrazione climatica interna”, utile per ipotizzare i trend relativi al fenomeno.

La seconda fase della ricerca mira invece a ricostruire le dimensioni socio-demografiche e quantitative del fenomeno, facendo riferimento alla mobilità residenziale dalle aree urbane della metromontagna di nord-ovest (Milano e Torino, in primis) verso le aree interne e montane di Lombardia e Piemonte, con riferimento ad alcune valli di particolare interesse rispetto alla presenza di flussi immigratori interni.

La terza fase del progetto, infine, è finalizzata a indagare la percezione del cambiamento climatico e della fragilità ambientale espressa dai residenti nelle aree urbane e di pianura della metromontagna di nord-ovest come push factor per lo spostamento verso le aree interne e montane di Lombardia e Piemonte. Nello specifico, coinvolgendo un campione statisticamente rappresentativo di residenti nei poli metropolitani di Milano e di Torino (ma con alcuni affondi comparativi anche sui poli urbani di Roma e Napoli), la survey questionaria mirerà a ricostruire la percezione sociale delle caratteristiche ambientali e climatiche delle aree interne e montane come fattore attrattivo per il potenziale trasferimento in esse (temporaneo, in un’ottica multilocale o definitivo); nel contempo, verrà indagata la propensione soggettiva alla migrazione dalle città verso le aree interne e montane, in rapporto al quadro personale/familiare dei limiti e delle opportunità (risorse economiche, lavoro, ecc.) e alla percezione complessiva delle condizioni socio-ambientali delle aree di destinazione.

I dati raccolti nelle tre fasi della ricerca confluiranno quindi in un rapporto finale, che sarà pubblicato all’inizio del 2024 e che presenterà analisi e ipotesi scientificamente fondate circa il nesso tra cambiamento climatico e mobilità residenziale interna, nonché rispetto ai possibili trend futuri. L’obiettivo finale è da un lato sensibilizzare diversi target sociali e politico-istituzionali rispetto alla rilevanza del tema oggetto di ricerca, favorendo una riflessione collettiva sul fenomeno, in vista della messa in campo di interventi futuri atti a governarlo in modo partecipativo e responsabile. Dall’altro, si intende coinvolgere le comunità e le istituzioni attive sul tema (ad es. le community di smartworker, le associazioni che si occupano di abitare multilocale, le istituzioni locali e metropolitane, ecc.) rispetto alla diffusione dei dati e delle analisi che verranno prodotti, oltre che nella promozione di azioni positive future che potranno essere implementate in territori-pilota.

Maggiori informazioni sul progetto sono reperibili qui: https://www.euclipa.it/euclipa-it-progetto-migrazioni/, oltre che sui canali social di Eu.Cli.Pa.it.

Andrea Membretti