La carenza e la scarsa accessibilità dei servizi essenziali nelle Aree Interne è una delle ragioni principali dell’abbandono, dello spopolamento e della mancanza di presidio dei territori fragili. Gli investimenti in ambito pubblico inoltre, negli ultimi anni, si sono concentrati principalmente in grandi opere per le aree urbane, lasciando dimenticato un vasto territorio, che rappresenta circa il 60% di quello nazionale.
Fin dai primi passi della Strategia Nazionale per le Aree Interne, uno degli obiettivi principali è stato quello di adeguare la qualità e l’accessibilità dei servizi di istruzione, salute e mobilità nelle Aree interne dove questi servizi non vengono soddisfatti. La vera e propria assenza di un diritto di cittadinanza garantito costituzionalmente infatti, non fa altro che alimentare il circolo vizioso che spinge un territorio a spopolarsi a causa dei pochi servizi, inducendo un’ulteriore rarefazione dei pochi ancora presenti e l’intensificarsi dell’emorragia di giovani.
In Valle Bormida, caso peculiare di questo fenomeno di spopolamento e assenza di servizi, il decentramento rispetto alle direttrici economiche e di transito ha però inizio a partire dal 1738 quando, con il Congresso di Vienna, l’intero territorio delle due Bormide viene consegnato ai Savoia che spostano nel Cebano e nell’Astigiano le principali vie di comunicazione con il mare. Lo sviluppo stradale e ferroviario, attuato tra la seconda metà dell’800 e il primo ‘900 ha aggravato la marginalità, rafforzata da un contesto morfologico arduo e limitante, tipico dell’ambito Appenninico. L’industrializzazione ad opera dell’ACNA di Cengio inoltre ha lasciato dietro di sé pesanti danni ambientali che hanno allontanato, nel periodo post bellico, la fetta di popolazione attiva.

Benché l’isolamento abbia conservato fino ad oggi caratteri morfologici, urbani e tipologici che dimostrano un passato tutt’altro che marginale, ora il tessuto sociale ed economico è fortemente compromesso da una spiccata anzianità e da una disomogenea presenza di attività economiche. L’area è caratterizzata inoltre da un multicentrismo amministrativo che genera una grande difficoltà nella pianificazione: si trova infatti a cavallo delle  Province di Cuneo, Asti e Alessandria, i Comuni che la compongono fanno parte di 5 diverse Unioni Montane, il Sistema Sanitario è gestito da 4 Aziende Sanitarie, sono presenti 3 diversi Istituti Comprensivi e 2 differenti aziende si occupano del Trasporto Pubblico Locale.
Come si può quindi trovare un modo di garantire il diritto di accesso ai servizi essenziali in questo territorio? In una tesi di Architettura discussa al Politecnico di Torino e supervisionata dai relatori Marco Trisciuoglio, Simona Della Rocca ed Elena Camilla Pede, sono state proposte una serie di architetture ibride di uso collettivo che siano la riposta puntuale a questi problemi di carattere territoriale, come la lontananza dai servizi sanitari, la mancanza di adeguati spazi dedicati alla didattica e al supporto delle famiglie o la necessità da parte dei cittadini di utilizzare un trasporto pubblico collettivo organizzato e funzionante.
Per rispondere alle istanze del territorio, gli interventi proposti sono occasionali ma interconnessi, collocati dove la riposta ad un’esigenza o ad un problema può avere un eco che  si estende ben oltre i confini strettamente comunali; architetture empatiche con il contesto, fattibili e misurate, che hanno il valore di risolvere delle parti di tessuto urbano in degrado e di fornire gli strumenti alle comunità locali per il rilancio del territorio.

Per quanto riguarda il primo progetto, collocato a Cortemilia (CN), quello che si propone è un modello assistenziale continuativo, basato sulle persona e la sua autonomia nella cura. Il nuovo paradigma è quindi un luogo dove alle pratiche sanitarie tradizionali, come quelle ambulatoriali, si integrano quelle specializzate attraverso spazi flessibili aperti alla comunità. Spazi di accoglienza, socializzazione, studio ed educazione per dare forma ad una Casa della Salute che da ospedale diventi luogo di ricerca del benessere psicofisico e sociale, per ogni membro della comunità.
Nel caso della scuola, il modello da adottare è quello di un’istruzione diffusa, multifunzione, aperta alle realtà economiche, culturali e sociali del territorio. Quello proposto a Monesiglio (Cn) è un luogo di apprendimento scolastico, un Asilo Nido, che sia anche un Centro Civico con spazi dedicati alla formazione professionale, alla DAD e alle attività promosse dai gruppi di azione locali.
In merito al tema della mobilità, non è solo necessario ripensare la stazione dei treni in modo che sia anche terminal per i bus, ma dare forma ad un luogo ibrido che raccolga i flussi degli abitanti che scendono in fondovalle per spostarsi e che hanno bisogno di servizi di passaggio. Quelli progettati a Cengio (SV) sono ambienti per il lavoro e lo studio, per lo scambio di informazioni e merci e il passaggio dal trasporto individuale a quello collettivo. Un Hub Intermodale che non sia solo via di uscita dal contesto territoriale della Valle Bormida ma, assieme agli altri progetti, un luogo dove offrire uno scenario di vita alternativo a coloro che qui vivono o tornano, preferendo una diversa dimensione dell’abitare.
Paolo Bianco

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