Assumere l’incarico di presiedere l’Associazione “Dislivelli” e succedere a Beppe Dematteis suscitano in me forti sentimenti di gratificazione e di smarrimento. La prima nasce sia dalla dichiarazione di stima che Beppe, ancora una volta, mi ha dimostrato nel presentarmi e proporre la mia nomina al Consiglio direttivo e all’Assemblea. Questo riconoscimento non solo testimonia di un rapporto ormai quarantennale di amicizia, ma attualizza anche gli intensi momenti di apprendimento e di indirizzo che Beppe mi ha offerto a partire dal dottorato di ricerca in Geografia urbana e regionale e nelle collaborazioni che sono via via seguite. L’interesse attorno ai temi di quella che lui riteneva dovesse essere “bella e buona geografia” avvenne in queste occasioni, così “contaminanti” da convincermi a indirizzare e a estendere i miei impegni nell’ambito universitario e a intraprendere un viaggio, talora faticoso e impegnativo, in più atenei italiani. Ricordando questi momenti e i risultati comuni raggiunti, ho accettato con piacere di mettermi a disposizione dell’Associazione, per quanto mi sarà possibile.
Il turbamento deriva dalla responsabilità che sento nel dover dare seguito ai progetti e alle impegnative missioni che l’Associazione si è data sul grande tema della montagna sotto la guida di Beppe e nel corso del tempo. Mi conforta la grande squadra che si è raccolta negli anni attorno a Dislivelli e al Consiglio direttivo: in punta di piedi, come quando si entra nella casa degli ospiti, intendo offrire a tutti il mio impegno per tenerla unita, sostenerla e ampliarla.
Nelle ricerche sullo sviluppo urbano e regionale che finora ho compiuto la montagna è stata da me considerata quasi esclusivamente nell’ambito dei rapporti che le città e l’avampaese stabiliscono con essa e nei quali questi organismi rimangono comunque il nucleo duro di riferimento. Questa prospettiva, sebbene continui a rivelarsi cruciale, non è più la sola, come è noto; è diventata uno dei punti di vista con cui traguardare la complessità e le articolazioni che il territorio montano va assumendo nel dibattito, nella ricerca e nell’azione territoriale.
È ormai ampiamente riconosciuto che le ricerche e le iniziative culturali e comunicative che Dislivelli ha intrapreso a partire dalla sua fondazione hanno contribuito ad arricchire e a validare questa nuova prospettiva; esse costituiscono oggi una sua dote e un suo riconoscimento identitario: un vero e proprio patrimonio scientifico e culturale da reimpiegare, per compendiarlo, espanderlo e continuare a farlo vivere nel tempo.
Questa rivista, dando conto dello svolgimento e dei risultati di queste imprese, si è così configurata come un importante veicolo di coinvolgimento e di informazione non solo per i cultori della montagna, ma anche per coloro che, come me, ricorrevano a essa per documentarsi, per riconoscere i fenomeni emergenti, le dinamiche, i processi che, nel più generale cambiamento, scaturivano anche dalla montagna. Ravvedo in questi risultati e negli impegni profusi per la loro divulgazione un contributo di formidabile valore. Da un lato essi si prestano all’allestimento di scenari, di progetti e di iniziative di cambiamento che si proiettano nel tempo a venire; dall’altro si prestano a essere impiegati nell’ambito di riflessioni volte a posizionare la montagna e il territorio con cui interagisce nella difficile e per ora non conclusa fase di transizione che si protrae da inizio secolo, quando le forze della globalizzazione hanno iniziato a scompaginare l’ordine preesistente. Con una metafora si può affermare che essi permettono di configurare anche la montagna come un grande cantiere in cui si accumulano i materiali e i problemi derivanti dalla decostruzione del vecchio; eppure allo stesso tempo si edifica il nuovo, coerente con le esigenze e con le forze dell’innovazione che la transizione va proponendo.
Dalla saldatura di queste dimensioni Dislivelli è giunta a proporre al dibattito il nuovo e originale concetto di metromontagna. Esso ribadisce che, anche nella transizione, il futuro si costruisce e non si aspetta, e soprattutto immette nel dibattito scientifico e culturale un concetto “federativo” che risulta ora capace di unire ciò che finora veniva pensato e proposto come separato; dunque, di scorgere una organizzazione territoriale ritenuta densa di senso e di significato culturale politico e sociale. Dobbiamo considerare questo risultato non solo come un traguardo, ma anche come una pedana di lancio destinata a farci ripartire per corredarlo di referenti logici, pratici e progettuali, capaci di proporlo come la base territoriale e ambientale di un nuovo e possibile modo di vivere, di lavorare e di stabilire le relazioni di reciprocità. È un impegno che ci chiede di andare a cercare i segnali deboli che si possono scorgere non solo nel territorio, nelle istituzioni, negli atteggiamenti e nelle motivazioni delle persone, ma anche negli avanzamenti logici e concettuali che maturano nelle discipline e nel dibattito tra le discipline.
Marguerite Yourcenar, nelle Memorie di Adriano (1951), riflette: «Ho ricostruito molto, e ricostruire significa collaborare con il tempo, nel suo aspetto di “passato”, coglierne lo spirito o modificarlo, protenderlo quasi verso un più lungo avvenire; significa scoprire sotto le pietre il segreto delle sorgenti». La scrittrice ci indica il percorso avventuroso che spinge gli intellettuali di ogni tempo a interrogarsi sui pregressi, a scorgere novità e a lanciarsi oltre gli ostacoli per perseguirle. È lo spirito con cui mi aggrego alla bella squadra di Dislivelli e mi metto al lavoro con lo stesso entusiasmo di quel giovane dottorando i cui pensieri piacquero a Beppe Dematteis.
Cesare Emanuel
Casare Emanuel è Professore ordinario in Geografia economico-politica presso l’Università del Piemonte Orientale, di cui è stato Rettore dal 2000 al 2018.
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