I nuovi servizi di mobilità sostenibile nelle aree montuose debbono vincere la sfida della dispersione della domanda, della rarefazione della popolazione e dei poli di attrazione per lo studio, il lavoro, i servizi e il tempo libero. Nelle città, anche in molte italiane, il tasso di motorizzazione decresce (soprattutto a Milano) o cresce meno che in provincia (la media dei capoluoghi), mentre crescono gli spostamenti quotidiani soprattutto quelli sui mezzi di trasporto rapido di massa (metropolitane, treni urbani) oppure quelli che fruiscono della sharing mobility (dalle auto ai monopattini elettrici). Nelle aree a domanda più debole invece il trasporto pubblico, costituito soprattutto da autobus, perdeva passeggeri già prima della pandemia. In montagna l’automobile di proprietà sembra consolidarsi ancor più come il mezzo prevalente per la mobilità della popolazione. Non credo che si tratti di barriere o limiti di carattere tecnologico o fisico: è invece la dispersione della domanda di trasporto la ragione principale della difficoltà per la mobilità sostenibile ad affermarsi nella gran parte delle valli montane.
La mobilità sostenibile ad “emissioni quasi zero”, quindi elettrica, per tutti, anche soggetti deboli, e a ridotta occupazione di spazio infrastrutturale, deve essere il più possibile pubblica e condivisa, in modo da favorire spostamenti e viaggi intermodali, come ad esempio treno + bici. Una simile offerta di mobilità risulta efficiente se sufficientemente distribuita per essere sempre disponibile alla domanda, e soprattutto è favorita dall’alta densità. Inoltre deve essere incentivata dall’offerta di servizi di prossimità, dalla così detta città “dei 15 minuti”, da centri abitati in cui tutti i servizi quotidiani essenziali si trovino a pochi minuti a piedi o in bici dalla residenza. A penalizzare le aree montane è quindi la bassa domanda di mobilità locale a causa dello spopolamento della fascia più giovane e attiva, di attività produttive, di sviluppo e diffusione di servizi di qualità, che rendono oggi poco remunerativa l’offerta di moderni servizi di mobilità pubblica (treni ed autobus) e condivisa (sharing).
Il PNRR per la mobilità
L’esame delle schede del PNRR evidenzia alcuni investimenti di rilievo sulle linee ferroviarie, in particolare “1.3 – Connessioni diagonali”, 1,58 miliardi e “1.6 – Potenziamento delle linee regionali”, 0.94 miliardi, e “1.7 – Potenziamento e elettrificazione delle ferrovie nel Sud”, per 2,4 miliardi. Quindi sarà aumentata la velocità di percorrenza della Roma-Pescara, della Orte-Falconara e della Taranto-Metaponto-Potenza-Battipaglia e le linee ferroviarie regionali di collegamento all’Alta Velocità nel sud. Inoltre “si prevedono interventi specifici per potenziare la rete ferroviaria in diversi punti critici del Sud Italia (ad esempio in Molise, Basilicata ecc.), per realizzare gli interventi di ultimo miglio ferroviario per la connessione di porti (Taranto e Augusta) e aeroporti (Salerno, Olbia, Alghero, Trapani e Brindisi), per aumentare la competitività e la connettività del sistema logistico intermodale e per migliorare l’accessibilità ferroviaria di diverse aree urbane del Mezzogiorno”.
In grave ritardo di progettazione due progetti di idrogeno ferroviario (Valcamonica di TreNord e nel Salento con ferrovie per il Sud): persino la Valle d’Aosta ha chiesto un rinvio dell’elettrificazione della Chivasso Aosta per studiare l’alternativa ad idrogeno. Soldi buttati: i treni alimentati ad idrogeno costano il doppio e consumeranno, anche a regime con l’idrogeno “verde”, due volte e mezza più elettricità verde di quelli alimentati dalle linee aeree. Debacle dell’idrogeno anche per gli autobus, dopo che anche la città francese di Montpellier ha trasformato il suo ordine di 50 autobus da idrogeno a elettrico. E in montagna, quasi sempre si possono usare bus elettrici: ad affermarlo è lo studio Eurac Research sul servizio di trasporto pubblico in Alto Adige, dopo aver mappato in modo accurato distanze, dislivelli e pendenze di tutte le 235 linee oggi attive, si è constatato che gli autobus elettrici potrebbero garantire il 90% delle tratte anche nelle condizioni peggiori, cioè a pieno carico sulla pendenza massima in una giornata invernale di maltempo. La convenienza economica, secondo una ricerca Università Bocconi – Enel Foundation, è già oggi, se si attualizzano dieci anni di costi di gestione.
Esempi montani
La mobilità elettrica e ferroviaria è una parte della risposta alla domanda di mobilità sostenibile nelle aree montane. La nuova vita della linea ferroviaria Merano Malles, citata da un decennio come esempio di possibile rigenerazione di ferrovia montana in Italia, ha saputo trasformare le singole stazioni locali in veri e propri hub di mobilità sostenibile, con bicistazioni, fermate di autobus, servizi di noleggio. Nell’entroterra della Sardegna, in Val d’Aosta, nell’entroterra di Genova, come Val di Fiemme e in Val di Fassa, servizi di mini bus a chiamata offrono spostamenti prenotabili a domanda, anche tra paesi e località disperse. I servizi turistici di noleggio di e-bike presso le strutture turistiche hanno spinto gli abitanti a farne uso tutto l’anno. Una parte degli incentivi per l’acquisto di auto elettriche e colonnine di ricarica in Trentino Alto Adige sono usati per veicoli di servizio e noleggio agli ospiti. Legambiente in www.comunirinnovabili.it censisce da anni, accanto alle valli trentine e dolomitiche autosufficienti e rinnovabili, le prime esperienze di società di servizio energetico locale che forniscono mezzi elettrici in sharing mobility (auto e moto). In una delle prime Comunità Energetiche Rinnovabili e Solidali nate in Italia nel 2021, Turano Lodigiano, 2.500 abitanti, di fronte alla Casa comunale c’è una colonnina di ricarica allacciata al fotovoltaico comunitario e un’auto elettrica in sharing, per i servizi comunali e per gli abitanti. Siamo in piena pianura Padana, ma l’esempio vale anche per la montagna, dove le auto elettriche si ricaricano in discesa.
Andrea Poggio, responsabile mobilità sostenibile Legambiente onlus