Quando Rinaldo Bontempi, alla vigilia delle Olimpiadi del 2006 aveva ripetuto che Torino doveva essere una “capitale alpina” europea, erano stati in pochi a credergli. L’europarlamentare che era vicepresidente del Comitato organizzatore non aveva anticipato i tempi, anzi. Quando le previsioni non avvengono è facile bollinare quelle idee come troppo visionarie. Non è così. Bontempi aveva detto quello che andava fatto per costruire una città unita ai suoi territori, usando mezzi, risorse, opportunità dei Giochi invernali. Quasi nessuno lo ascoltò e quello che Torino non ha fatto negli ultimi venticinque anni è proprio quello che oggi servirebbe di più.
Torino che va ad elezioni – è bene ricordarlo – elegge anche il “Sindaco metropolitano”, come si chiama ora il “Presidente della Provincia”. Come potrebbero, candidati ed eletti, costruire le loro scelte, le loro proposte senza guardare ai territori? Ed essere consapevoli che il capoluogo alpino oggi necessario non è solo. È con Pinerolo, Ivrea, e poi Cuneo, Saluzzo, Biella, Vercelli… nel costruire un patto con i territori, con le valli che convergono sulle città. Il patto è istituzionale: nell’impegno della Città Metropolitana (e prima ancora della Regione) a investire risorse per le “terre di mezzo”, le zone rurali e montane nelle quali garantire un adeguato livello di servizi – scuola, trasporti, sanità – così da permettere a chi vive nei Comuni montani di poterlo fare senza scappare. E a chi vuole trasferirsi – per trovare spazi e benessere, luoghi e identità – di farlo senza rimpianti e illusioni. Torino “capoluogo alpino” non considera Sestriere o Bardonecchia proiezione di un quartiere urbano. Riconosce che nelle valli alpine piemontesi che la avvolgono ci sono acqua, foreste che assorbono anidride carbonica, persone e imprese che proteggono con la loro presenza i versanti, filiere agricole e manifattura di alta qualità. Queste “presenze” hanno un prezzo. Si pagano. Chiamiamoli finalmente “servizi ecosistemici-ambientali” che la città utilizza. Ne beneficiamo tutti di 1 milione di ettari di bosco in Piemonte e di migliaia di imprese agricole. New York, con l’acqua che viene garantita alla Grande Mela dalle montagne, lo fa da decenni. Paga per proteggere le fonti.

Le geografie, gli spazi, i luoghi, vanno valorizzati quale elemento centrale per la riduzione delle sperequazioni territoriali, di genere, economiche, sociali, e delle disuguaglianze. Sappiamo che alle polarizzazioni Nord-Sud, si unisce lo scarto tra aree urbane e montane, che le risorse europee dovranno colmare. Nelle Alpi e negli Appennini, investire fondi e programmare azioni specifiche sugli assi della sostenibilità e dell’innovazione, genera coesione. Generare crescita nei territori rurali e montani va a vantaggio di tutti.
La transizione green del Paese si fa solo coinvolgendo i territori, le aree montane del Paese, gli Enti locali. L’innovazione è il punto di partenza per la coesione l’unità del Paese. Per essere smart. E green.
Ma in questo percorso Torino vuole essere un capoluogo alpino? Sarà un tema da campagna elettorale? Sarà il tema delle agende politiche? Ci proviamo a inserirlo, forti oggi di una buona rete di ricercatori, università, centri come Dislivelli.
Gli spazi per i confronti dei “centri decisionali” ci sono. La Città Metropolitana è spazio da riaffermare. Lo è anche Uncem, in qualità di associazione che ribadisce le urgenze: una relazione che diventa territorio, con comunità più unite e meno fragili.
Le Alpi sono cerniera e hanno un “ruolo ambiental-politico-culturale” che le Istituzioni per troppo tempo non hanno voluto vedere. Oggi al Piemonte, per uscire dall’isolamento – come a tutte le altre regioni alpine – non basta un’idea o uno slogan. Sindaci e comunità, comuni piccoli e polvere, tutti insieme chiedono uno sforzo in più a Torino: chiedono al capoluogo di puntare sulle Alpi per essere se stessa.
Marco Bussone, Presidente Uncem