Enrico Camanni, “La discesa infinita. Un mistero per Nanni Settembrini”, Mondadori 2021, 288 pp, 16,15 euro
Un uomo, una gamba, un ghiacciaio, un mistero incastonato ai piedi del Monte Bianco tra l’autunno e il Natale. Lui è Nanni Settembrini, guida alpina e soccorritore torinese, più vicino ai sessanta che ai cinquanta, figlio ribelle e granata di un immigrato napoletano, operaio e tifoso della squadra del padrone. La gamba, o quel che ne rimane, riemerge dall’agonia rocciosa del ghiacciaio del Miage appena in tempo per farsi notare da Settembrini prima della stagione delle piogge. Due frammenti di uno scarpone con la suola di gomma, due ossa umane, un brandello di lana celeste e un anello di corda di canapa. Settembrini potrebbe denunciare il ritrovamento e lavarsene le mani, se non fosse che è afflitto da una forma acuta di compassione, quell’ “empatia dai tempi lenti” che lo spinge a cercare di cucire un nome e una storia su quei resti che per decenni sembrano aver fatto la slitta col ghiacciaio: inghiottiti, digeriti e restituiti alla luce dalla sua discesa inesorabile, infinita. Inizia così un’avventura giocata con scaltrezza da Enrico Camanni su tre piani temporali: il presente in cui, tra un soccorso e un’uscita con un vecchio compagno di scuola, Settembrini si prepara a diventare nonno; gli anni del liceo, della contestazione e della scelta della montagna come professione; un passato più remoto, i cui contorni prendono forma con quel progredire dolce, ipnotico e un po’ magico che hanno i ritratti in divenire delle polaroid. L’incastro perfetto dei tre piani porta a comporre la soluzione del mistero, con il Settembrini e il Camanni più ispirati e avvincenti di sempre. I due conducono lettori e lettrici a spasso nello spazio tra i ghiacciai valdostani e il Mar Ligure, in angolini che catturano chi conosce i luoghi, e a zonzo nel tempo, spalancando fugaci finestre sul passato da cui si fa tempo a intravedere un uomo solo al comando tuffarsi su Pinerolo e un’intera squadra di calcio schiantarsi sulla collina di Superga.
Irene Borgna