In occasione della Tesi di Laurea Magistrale in Scienze Antropologiche ed Etnologiche, ho personalmente intervistato tre pastori vaganti veneti – in Lessinia, a Feltre e a Bardolino – e una ex pastora piemontese. Lo scopo del mio lavoro è quello di comprendere come gli intervistati percepissero il cambiamento climatico e ambientale e come questo influisse sulla pratica della transumanza. I risultati riportati di seguito, nonostante il campione limitato, si possono tranquillamente estendere ad altri gruppi pastorali del mondo, anch’essi sottoposti al fenomeno del surriscaldamento atmosferico globale.

I pastori transumanti, spostandosi tutto l’anno e vivendo l’ambiente e i cambiamenti atmosferici in prima persona, segnalano i seguenti mutamenti in atto di maggior rilievo: nuovi bruschi e repentini cambi di temperatura; una maggiore uniformità climatica, soprattutto nei periodi invernali; inediti fenomeni estremi come le bombe d’acqua, causa di stress per gli animali che tendono a dimagrire e a dare una resa minore.
Dalla ricerca si evince che l’attuale tempo atmosferico non risulta più in linea con le conoscenze pastorali che sono state tramandate di generazione in generazione, ed è per questo motivo che il cambiamento viene da loro spesso percepito come poco familiare e pericoloso. Per fare un esempio, quando il pastore A. riferisce che “non ci sono più le mezze stagioni”, e il pastore G. ribatte che “il tempo non è più normale”, vogliono entrambi  sottolineare le difficoltà nel leggere, con una certa prevedibilità, i fenomeni atmosferici e i loro possibili effetti sul territorio.

Ma sebbene i pastori, nel raccontare i cambiamenti atmosferici e ambientali sembrano assumere atteggiamenti fatalistici, in realtà nella loro transumanza utilizzano strategie attive di adattamento: allungano i tragitti o modificano alcune pratiche abituali, come ad esempio gli orari in cui far pascolare gli ovini. Inoltre, in inverno, i pastori transumanti impiegano nuove modalità di pascolamento nelle aree di pianura, poiché le mutate condizioni atmosferiche stanno “permettendo” a molti agricoltori di prolungare i tempi delle loro coltivazioni.
È rilevante specificare che, con il cambiamento climatico, le greggi ovine dei pastori vaganti soffrono maggiormente il caldo e sono più esposte sia ai nuovi patogeni che alle sostante nocive utilizzate per preservare le coltivazioni. Inoltre sono purtroppo sempre più frequenti le cronache di ovini morti a seguito di fenomeni estremi come le “improvvise” alluvioni.
Oggi, le imprevedibili dinamiche atmosferiche e ambientali potrebbero essere tra le concause dell’ulteriore riduzione della pratica della transumanza, in Veneto come in altri luoghi della Terra. Infatti i fenomeni legato al cambiamento climatico si sommano alle altre condizioni penalizzanti per la categoria pastorale, come le difficoltà negli spostamenti durante l’anno, la complessa convivenza con i grandi predatori e le tendenze economiche e produttive globali che sfavoriscono i piccoli allevatori a vantaggio degli allevamenti intensivi.
Nella ricerca sul campo, ho potuto osservare come le attuali normative che vietano ai pastori veneti l’utilizzo di alcune risorse naturali, sommandosi alla loro impossibilità di muoversi liberamente nello spazio, abbiano prodotto due importanti conseguenze: sono impossibilitati a mettere in pratica il loro bagaglio culturale che da sempre ha permesso l’adattamento ai mutamenti ambientali, economici e sociali; hanno cambiato il loro rapporto con le risorse naturali, che non vengono più intese come illimitate e onnipresenti e nemmeno di buona qualità.

Nelle attività pastorali sono insite importanti competenze che potrebbero essere prese in considerazione dalle istituzioni al fine di attenuare gli effetti del surriscaldamento globale e dell’alterazione ambientale: il corretto pascolamento ovino che migliora la biodiversità e garantisce il mantenimento di una buona qualità delle risorse naturali e del paesaggio (Pastore, 2005); un’attività che se correttamente praticata può dare il suo contributo all’ambiente, mitigando i mutamenti in atto, e diversificando la possibilità di relazione con il “non umano”.
Nell’era dell’Antropocene, qualora si fosse disponibili a migliorare la propria consapevolezza e percezione della complessità in cui viviamo, la realtà pastorale suggerisce che si può ancora attivamente e positivamente partecipare alle dinamiche degli eventi naturali.
Sofia Marconi