Da 120 anni sulle cime di venti e più montagne italiane, isole comprese, svettano croci e monumenti a Cristo Redentore, tutti innalzati nello stesso periodo, per la stessa ragione e quasi tutti con le stesse modalità. Che nessuno se ne sia mai accorto, sul piano nazionale, e che se ne occupino solo le comunità locali che li hanno costruiti, e che continuano a mantenerli, non è certo una novità. I montanari troppo spesso, ieri come oggi, sono abituati a far da sé. È la storia del Giubileo ignorato, quello delle montagne italiane.
Il Cristo Redentore del Mombarone (provincie di Torino e Biella), 2021 (Margherita Barsimi Sala)
Quelle croci e quei monumenti sono lì, sulle montagne, parte di un paesaggio che viene mantenuto dalle comunità perché sono un simbolo identitario, oltre che di fede, come il Cristo del Mombarone, per esempio, tra i primi ad essere costruiti, ricostruiti e restaurati, in una maniera che può ricordare quella del paesaggio terrazzato delle valli sottostanti, per il quale è stato fatto un progetto di valorizzazione.
Il comitato romano per il Giubileo aveva suggerito a venti diocesi di apporre sulle cime più alte un piccolo souvenir per ricordare l’evento: venti souvenir quanti erano i secoli dalla nascita di Cristo, era il ventesimo quello che iniziava nel 1900.
Le diocesi grazie alla spinta dei fedeli fecero molto di più, decisero di costruire veri e propri monumenti e grandi croci, ognuna secondo le proprie possibilità: statue di Cristo Redentore in bronzo, come quella sul Mombarone, ma anche meno care, in ghisa, come sul Monte Altino nel Lazio, grandi croci monumentali ma anche piccole, tanto da essere smontate e trasportate a pezzi, a spalla.
Il Cristo Redentore del monte Altino (Maranola, Formia, LT), 2021 (foto di Pietro Cardillo)
Altre diocesi, quasi sempre nelle montagne, decisero di propria volontà di fare altrettanto. Dei ventinove monumenti di cui si è avuta notizia solo tre vennero innalzati in pianura, sette nell’anno del Giubileo, tredici nel 1901 e nove tra il 1902 e il 1910. Quel Giubileo era stata anche l’occasione per unire le comunità in uno sforzo comune che doveva dimostrare, anche a loro stesse, la forza della loro fede.
Il comitato romano volle e seguì tre monumenti nei pressi di Roma, identificati come più importanti. Uno non venne mai costruito e gli altri due sono quelli in peggiori condizioni: non hanno resistito alla sfida del tempo perché costruiti per volontà della nobiltà e della élite che si identificava con la curia vaticana. Sono resistiti fino ad oggi i manufatti innalzati con sottoscrizioni popolari e costruiti grazie allo sforzo comune di donne e uomini delle montagne che hanno contribuito con le offerte e il lavoro alla realizzazione, alla ricostruzione e al restauro, con la guida di parroci e vescovi, e oggi grazie anche al contributo del Club Alpino Italiano e della Associazione Nazionale Alpini. Fino ad ora solo gli storici locali si sono interessati di quella storia, come Margherita Barsimi Sala per il Cristo del Mombarone (M. Barsimi Sala 1999, 2016, Mombarone. Un simbolo per tre comunità, Biellese, Canavese, Valle d’Aosta, Ivrea, Litografia Bolognino).
La storia nazionale, invece, ha quasi ignorato quei manufatti del Giubileo del 1900, senza nessun valore artistico particolare, e considerati espressione di una fede ottusa e ormai superata dai tempi. Secondo la storia ufficiale, disattenta allo spirito comunitario che anima le popolazioni delle montagne, i montanari avevano obbedito agli ordini di preti tradizionalisti legati a loro volta all’obbedienza al papa e alla gerarchia vaticana. Avrebbero costruito quelle croci solo per controbattere la presenza di laici e massoni che andavano in montagna con il Club Alpino Italiano. Non hanno saputo leggere nella vittoria della sfida con il tempo di quelle croci e di quei monumenti la forza delle comunità locali, una forza di cui c’è ancora bisogno per vincere le sfide di oggi, come quella della pandemia del Covid.
Venti mattoni realizzati con le pietre delle venti cime delle montagne originarie del Giubileo del 1900 vennero murati nella porta santa alla fine di quell’evento, chissà se si potranno ancora vedere quando verrà di nuovo riaperta per il Giubileo del 2025. È a San Pietro un pezzo della storia delle montagne italiane.
Oscar Gaspari
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