La scuola in montagna ha caratteristiche peculiari, è fortemente legata alla comunità locale e all’habitat naturale. Il patrimonio paesaggistico è parte integrante della didattica, conformando un’aula aperta la cui specificità va salvaguardata, poiché completamente diversa dalle scuole di città. Ciò determina e permette nelle aree montane una condizione quasi privilegiata di sviluppo delle capacità cognitive e dell’apprendimento di studenti e studentesse, che hanno l’occasione di esplorare e sviluppare competenze preziose per la cura e tutela del territorio.

In montagna la scuola è una delle istituzioni più vicine alla cittadinanza, oltre che fondamentale presidio socio culturale sul territorio e importante fattore di sviluppo capace di individuare le risorse locali e interagire direttamente con le persone.

Ne abbiamo parlato con Francesca Alberti e Juliette van Eijsden, originarie della Valle Argentina, che si snoda dal Monte Saccarello a Taggia, tra le Alpi Liguri, in provincia di Imperia. Entrambe sono cresciute in montagna e lì hanno frequentato l’asilo e le scuole elementari negli anni ’90. Ogni mattina Francesca, dalla frazione di Corte, doveva arrivare a Molini di Triora, accompagnata a turno insieme ai compagni di classe da una delle mamme che ricevevano un bonus pubblico per compensare l’utilizzo dei propri mezzi di trasporto, perché lo scuolabus non c’era. A Molini c’era la pluriclasse, bambini e bambine di età diverse frequentavano insieme le lezioni. Francesca ne ha un bellissimo ricordo, la sua era una delle classi più numerose, erano circa sei, e vi erano continui scambi e arricchimenti con gli altri compagni. A volte capitava che  facessero lezioni tutti insieme e spesso, nella bella stagione, la lezione pomeridiana si svolgeva all’aperto sotto i noci, vicino al fiume e a uno spazio attrezzato con i giochi. Raccontandoci la sua tipica giornata lunga a scuola oggi sorride all’idea che i venti bambini dell’istituto, in assenza della mensa, andassero al ristorante del paese per il pranzo.

Juliette, invece è cresciuta nei pressi di Carpasio, a 40 minuti di cammino dalla strada carrabile e all’inizio delle elementari si è trasferita con la sua famiglia all’interno del comune, anche per essere più vicina al pulmino che l’accompagnava a scuola, che però ha tristemente chiuso prima che lei terminasse la quinta.
Questo sistema di apprendimento e formazione tipico dei comuni montani, recentemente già messo in crisi dalla chiusura dei presidi scolastici con il conseguente aumento della marginalità dei territori,  ha dovuto affrontare a causa della pandemia un nuovo modello di didattica che si scontra con un rilevante problema delle aree montane, quello del digital divide. Secondo i dati ISTAT, infatti, in Italia meno della metà delle famiglie che vivono nei Comuni sotto i duemila abitanti ha accesso a una connessione fissa a banda larga e stando al rapporto “La montagna in rete” redatto da UNCEM nel luglio 2020, i problemi di connettività nelle terre alte riguardano non solo internet, ma anche la telefonia mobile e la televisione.
Oggi Francesca vive a Genova, dove si è trasferita per frequentare l’Università e dove ha deciso di rimanere. Juliette invece ha scelto di vivere a Glori, un antico borgo dell’Alta Valle dove il telefono non prende, ma in cui negli ultimi cinque anni c’è stato un grande cambiamento in controtendenza: diversi giovani hanno scelto di trasferirsi a vivere a Glori e il borgo oggi conta 37 abitanti, compresi 7 bambini tra 0 e 10 anni. Qui Juliette ha fondato insieme ad altri l’associazione “Glori place to be” per promuovere il territorio e, se l’interesse per questo fenomeno era già molto forte prima, i, con la pandemia il desiderio e il bisogno per la vita in natura sono esplosi.
Juliette ci racconta però che al momento la scuola è un gran punto di domanda: l’asilo di riferimento ha chiuso lo scorso anno e la scuola statale più vicina è a circa 8 chilometri di distanza.
Contemporaneamente in zona è partito “Seminarmonia”, un progetto di istruzione familiare all’aperto, dove le bambine e i bambini passano moltissimo tempo all’aria aperta e imparano dalla natura. Anche in questo caso però la distanza dalla sede, non permette a Juliette e alla sua famiglia di raggiungere quotidianamente i luoghi delle lezioni. Juliette nota inoltre una grandissima mancanza: l’asilo nido. Il più vicino infatti si trova a Taggia, a 25 minuti di macchina,  i posti sono limitati e la graduatoria dà la precedenza a bambini residenti nel comune, rendendo quasi impossibile l’accesso al servizio. Le mamme della Valle sono quindi “costrette” a rimanere a casa dal lavoro, nel caso non abbiano la fortuna di avere nonni e altri parenti che possano tenere il bambini.
In questo contesto già logisticamente complicato, la Didattica A Distanza (DAD)  non ha di certo agevolato la qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento. Infatti, come racconta la ricerca “I Giovani ai tempi del Coronavirus”, condotta da IPSOS Group S.A. per Save the Children, la DAD sta provocando diversi effetti negativi a livello psicologico e relazionale. Dall’indagine è emerso che il 38% degli studenti giudica la DAD in modo negativo e che una delle maggiori difficoltà riscontrate è la fatica a concentrarsi, da cui ne consegue che la preparazione scolastica di 1 studente su 4 è peggiorata.
Con NATworking abbiamo immaginato modi innovativi e nuove possibilità di studio e di lavoro nei territori extraurbani, per combattere lo stress dato dall’iper connessione di liceali e universitari, di chi segue percorsi di dottorato o ha fatto della ricerca il proprio mestiere, di freelance e smartworkers.
Riprendendo il concetto di “aula aperta”, di contatto con la natura e di apprendimento mentre si esplora il proprio territorio, tipico dell’educazione e della formazione di tanti luoghi del Paese, stiamo costruendo una rete di spazi che possa accogliere, oltre che  smart workers, anche studentesse e studenti, creando luoghi di incontro e confronto e nuovi servizi, in aree generalmente carenti dei servizi collettivi di cui sono dotate le città. Luoghi in cui poter trovare la concentrazione per scrivere la propria tesi, per portare avanti una ricerca o preparare un compito in classe, ma anche luoghi in cui capire come poter accedere ad un supporto psicologico per affrontare lo stress scolastico o universitario. NATworking sarà un’occasione reciproca di scambio e apprendimento, nuovi spazi in cui studentesse e studenti potranno entrare in contatto con realtà professionali, stimolanti esperienze e ibride sperimentazioni.
Eleonora De Biasi e Miriam Pepe

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