Non tutti sanno quale sia la vera ricchezza dei rifugi di media o alta quota… si pensa principalmente al loro aspetto di accoglienza degli escursionisti, ma in realtà, l’essenza di un rifugio, risiede nell’essere una vera e propria “scuola di vita”, un punto di incontro e di contatto tra noi e la montagna.
Se volessimo definire cos’è un rifugio, potremmo dire che è un alloggio, o un riparo, ubicato in un sito isolato, con una gestione delle risorse quasi autonoma, talvolta innovativa, che gli conferisce senza dubbio un carattere esemplare. In alta quota, rappresenta anche l’ultima area in cui si possano trovare informazioni – scritte o narrate – sulle caratteristiche dell’ambiente circostante e sulla sua storia.
Nell’immaginario cittadino, questi luoghi inerpicati tra le vette, rievocano esperienze e vicissitudini, spesso estreme, fonte di conoscenza e saggezza, capaci di formazione e temprare il carattere di chi li frequenta. E in effetti i rifugi sono stati i luoghi di partenza e di arrivo di imprese straordinarie, talvolta eroiche. Eppure i rifugi sono anche luoghi esotici presi d’assalto nei weekend dai più semplici cittadini, non a caso proprio in questi ultimi decenni il ruolo dei rifugi è in piena fase di trasformazione, oltre alle classiche funzioni di ristoro e accoglienza, rappresentano infatti un meraviglioso spazio per lo studio, l’analisi e l’educazione ambientale e naturalistica. Questo nuovo aspetto, in particolare, sta assumendo una sempre maggiore importanza, in quanto, grazie al loro posizionamento, dai rifugi si possono osservare da vicino le trasformazioni in atto nell’ambiente, con particolare riferimento ai cambiamenti climatici.
Sara Furlanetto @vasentiero
Di conseguenza anche i gestori dei rifugi si ritrovano ad un punto di svolta: rispondere alle esigenze di un pubblico più attento alle dinamiche ambientali.
Tutti questi fattori stanno spingendo molti rifugi a trasformarsi in veri e propri laboratori culturali e ricreativi nei quali vengano trattate e sviluppate tematiche legate al patrimonio naturale montano. Questo intento di guardare ai rifugi come una sorta di laboratorio culturale, nasce da una duplice osservazione: da un lato essi rappresentano basi avanzate privilegiate per il monitoraggio dei processi geofisici, climatici e biologici, nonché delle trasformazioni delle pratiche turistiche e sportive; dall’altro, i rifugi si stanno evolvendo attraverso processi di valorizzazione e riabilitazione che sono portati avanti da un numero sempre maggiore di giovani.
In definitiva possiamo dire che oggi i rifugi non sono più visti esclusivamente come semplici luoghi di passaggio – centri di accoglienza e di ristorazione – ma si stanno trasformando in “spazi di apprendimento”. L’ospitalità amplia la sua offerta attraverso l’animazione e la trasmissione della conoscenza del patrimonio culturale e artistico: mostre, concerti, spettacoli, seminari e molto altro.
Sulle Alpi stanno nascendo realtà e progetti che intendono attivare nei rifugi una nuova funzione artistico-culturale. Si guardi ad esempio il progetto “Rifugi di Cultura”, un evento estivo promosso dal Club Alpino Italiano che intende valorizzare i rifugi come promotori di cultura attraverso una proposta variegata di eventi quali reading, concerti, approfondimenti scientifici e performance teatrali. Sempre in Italia, un altro esempio interessante lo si rintraccia all’interno del progetto che sta portando avanti lo scrittore Paolo Cognetti, ovvero la costruzione di un rifugio in Val d’Ayas: uno spazio che intende diventare un centro didattico e culturale, in cui sono trattati temi quali l’ecologia, l’autogestione, la costruzione di nuove comunità e tematiche politiche legate alla riappropriazione della terra e al ripopolamento della montagna.
Sara Furlanetto @vasentiero
Nella complessa evoluzione che stanno affrontando i rifugi è quindi essenziale ripensare lo spazio-tempo del rifugio e dell’ambiente circostante, reinterpretando i ritmi sociali in una logica di convivialità e sostenibilità. Ed è proprio in quest’ottica che si inserisce anche l’aspetto culturale: i rifugi pensati come nuovi laboratori per creare, sperimentare, reinterpretare, ricucire il passato con il presente, coniugare e condividere arte e storia, tradizione e contemporaneità. Generazione dopo generazione la nostra società ha perso il contatto con la Natura, e i rifugi, oggi, possono svolgere un ruolo essenziale per ripristinare tale rapporto.
Ma perché ciò possa accedere bisogna anzitutto concepire il rifugio in modo che sia meno impattante sull’ambiente montano. I mezzi utilizzati per rendere i rifugi “spazi didattici” devono essere estremamente semplici e rispettosi.
Una volta arrivati in un rifugio l’essere umano deve imparare a riconoscersi e percepirsi come parte del mondo e non come il suo centro, abbandonare la prospettiva egoica, tipica della nostra era materialistica, per mettersi in ascolto di ciò che la montagna e i suoi abitanti hanno ancora da raccontare.
Nel contesto didattico, la salita verso un rifugio rappresenta un atto naturale e al tempo stesso simbolico, una porta d’accesso alla Natura incontaminata e all’ambiente montano. L’immersione, l’osservazione, la notte passata in gruppo, sono tutti momenti che rafforzano il proprio carattere e permettono una profonda crescita personale. Soggiornare in un rifugio significa doversi adattare a un ambiente diverso; permettere alle persone di vivere momenti speciali, di “iniziazione”, come la notte buia, l’alba, o il risveglio della montagna… il tutto grazie all’assenza di inquinamento luminoso o acustico. Significa anche prendersi del tempo per la vita di gruppo, per le diverse relazioni e rapporti che si vengono a creare. Questi centri educativi d’altitudine non devono ripetere i modelli di valle o di pianura, ma devono restare il più possibili fedeli ad uno spirito semplice grazie a un autentico contatto con la montagna.
Virginia Patrussi (collaboratrice di CIPRA Italia, laureata in Antropologia culturale con una tesi di laurea sui rifugi dal titolo “Nuovi laboratori di montagna. Una ricerca sui cambiamenti culturali e ambientali nei rifugi”. Il suo lavoro ha ottenuto il primo premio nell’edizione 2020 del Premio Fabio Favaretto indetto dal CAI di Mestre).