Silvio La Corte (a cura di), “La bolla olimpica. Illusioni, speculazioni e interessi dietro ai cinque cerchi”, Mimesis 2020, pp. 420, 24 euro.
Quanto le olimpiadi sono ancora un’opportunità per le città che le ospitano e quanto si sono invece trasformate in eventi insostenibili? Questa la domanda cui cerca di rispondere Silvio La Corte con il suo libro “La bolla olimpica”. Propendendo decisamente, come si capisce bene dal titolo, per la seconda opzione.
La Corte chiama a raccolta decine di specialisti e persone informate sui fatti per ricostruire la tortuosa strada percorsa nella storia dai più famosi eventi sportivi del mondo in una trama a tinte fosche, che vede affiancarsi gli alti valori sportivi agli interessi della finanza, il doping e la compiacenza delle strutture sportive preposte ai controlli agli interessi politici e in ultima analisi alla vita degli atleti.
Uno dei casi emblematici di intreccio tra alti valori sportivi e finanza trattati nel libro riguarda proprio le Olimpiadi invernali di Torino 2006. Giovanni Semi, sociologo del Dipartimento di Culture, politica e società dell’Università di Torino, nel corso di un’intervista realizzata da La Corte sostiene che per la Città di Torino ospitare le olimpiadi “[…] è stato oggettivamente un azzardo […]”, ricordando come Torino “[…] il giorno dopo la chiusura del bilancio post-olimpico si è trovata con 4 miliardi di debito pubblico!”. Il sociologo tuttavia sottolinea come la responsabilità non sia da imputare interamente alle olimpiadi, ma soprattutto all’evoluzione finanziaria globale verso i mutui, i “subprime” e i crediti tossici, che proprio un anno dopo le olimpiadi, nel 2007, è collassato, portandosi via tutto, “[…] anche la città di Torino […]”, che dando fiducia a tale politica finanziaria si era nel frattempo indebitata con le banche.
Morale? Un cortocircuito cittadino che ha portato “[…] gli istituti finanziari ad avere una posizione di sostanziale controllo del territorio, un controllo che ha largamente esautorato l’attore pubblico, che si è trovato il cappio al collo dopo essersi indebitato e che a questo punto deve chiedere all’operatore bancario di non stringere troppo il cappio”.
Maurizio Dematteis