Luca Mercalli, “Salire in montagna. Prendere quota per sfuggire al riscaldamento globale”, Einaudi 2020, pp. 208, 17,50 euro

Salire in montagna. Il titolo dell’ultimo libro di Luca Mercalli mi ha riportato alla memoria la “faccenda della Tebaide”, come la chiamava Luigi Meneghello. Cosí scriveva lo scrittore e partigiano vicentino ne I piccoli maestri: “C’erano insomma due aspetti contradditori nel nostro implicito concetto di banda: uno era che volevamo combattere il mondo, agguerrirci in qualche modo contro di esso; l’altro che volevamo sfuggirlo, ritirarci da esso come in preghiera”. In una sorta di Tebaide, appunto, arroccata sull’Altipiano di Asiago.
Finalmente via dalla città, salito in montagna, questa contraddizione intrinseca appariva a Meneghello in tutta la sua evidenza, come un’eco della antica riflessione di Lucrezio sul vivere appartati: “Reagire con la guerra e l’azione; ma anche ritirarci dalla comunità, andare in disparte”, scriveva ancora, sottolineando come azione e contemplazione, coinvolgimento e allontamento dal mondo, fossero aspetti tra loro difficilmente districabili di quel groviglio di sentimenti, valori e interessi prodotto dalla disfatta del nostro Paese.
L’ultima volta che ci siamo visti, Luca ed io, è stato lo scorso settembre, alla Casa Comune del Gruppo Abele, in Cadore: invitati da Don Luigi Ciotti e Mirta Da Pra a parlare di cambiamento climatico, lui, e di migrazioni verso le terre alte, io. Due temi che, in modo decisamente personale e dentro un microcosmo alpino piemontese, si intrecciano nell’ultimo libro di Luca: la scelta dell’autore di acquistare e ristrutturare una antica e malmessa grangia nelle Alpi Cozie, viene infatti definita una “migrazione verticale”, alla ricerca di condizioni di vita più sostenibili: “prendere quota per sfuggire al riscaldamento globale”, come recita il sottotitolo del volume, pubblicato proprio lo scorso settembre con Einaudi.
Sfuggire, dunque, come cercano di fare milioni di persone in altre regioni del globo, travolte da fenomeni climatici dagli effetti ben più disastrosi rispetto a quelli che, per quanto gravi, colpiscono oggi il nostro continente. Quei “rifugiati ambientali” che il diritto internazionale si rifiuta di riconoscere come tali, dal momento che avrebbero poi il diritto di cercare asilo in questa parte del mondo.
Il libro di Mercalli è dunque il diario, lungo gli ultimi due anni, delle tappe di questo progressivo e volontario spostarsi verso l’alto, laddove, se si hanno le necessarie risorse economiche e una forte determinazione, è possibile (ancora) farlo. E´ il racconto, spesso ironico e leggero, di una migrazione consapevole, attuata sulla scorta delle conoscenze specifiche accumulate nel tempo dall’autore, della sua capacità di immaginare soluzioni costruttive improntate ai concetti di adattamento e di equilibrio. La realizzazione progressiva di un progetto abitativo possibile grazie anche alla relazione sinergica con i tanti professionisti coinvolti in una ristrutturazione edilizia che assume i caratteri del laboratorio collettivo, della sperimentazione di materiali e di innovazioni tecniche in grado di tradurre il concetto di sostenibilità ambientale in interventi concreti per l’abitare quotidiano.
Mercalli ci narra così la costruzione della sua Tebaide. Ci fa parte, in modo a tratti intimo, del suo desiderio di fuga dalla pianura surriscaldata, dalla vita competitiva, dai disvalori e dalle dinamiche socio-economiche che tanto contribuiscono alla deriva a cui va incontro il nostro (e altrui) esistere nel mondo.
Nel contempo, pure nella sua ricerca di una dimensione più contemplativa, certo sensibile alla tentazione di tirarsi fuori dal mondo salendo di quota, Luca non cessa di essere “agguerrito”, di combattere la sua personale (e condivisa con gli altri) battaglia contro i modelli di consumo, gli stili di vita, lo spreco di risorse, e le tante altre concrete manifestazioni di quel modello sociale e produttivo che contribuisce in modo determinante alla crisi socio-ambientale globale.
In certi passaggi del libro, complice l’auto ironia dell’autore, questa sembra quasi una battaglia contro i mulini a vento: magari proprio mentre il nostro si scontra per l’ennesima volta con una normativa che pare pensata apposta per ostacolare la riconversione ecologica e la sostenibilità edilizia in nome della tutela di un paesaggio museificato, dove piuttosto che consentire l’istallazione di pannelli solari sul tetto si invita a mantenere la lamiera posta negli anni Sessanta.
Eppure, nel progettare una sala per seminari e conferenze dentro la vecchia stalla sotto la casa, nell’immaginare iniziative pubbliche e ospitalità diffusa nella piccola borgata di Vazon, in grado di attirare giovani e studenti dalla vicina Torino, Mercalli ci indica una possibilità concreta di resilienza, di cambiamento sostanziale, ancorché (o forse proprio perché) alla scala minima della propria abitazione, di quello spazio fisico  (il “mucchio di pietre”, come lo chiama affettuosamente) che mette in forma identità e relazioni, in rapporto al territorio che lo circonda.
Nella tensione tra dimensione privata e dimensione pubblica, tra la città a cui comunque non rinuncia del tutto, e il borgo alpino a cui sente di appartenere per vocazione, l’esperienza di Mercalli non risolve la contraddizione che Meneghello ci indicava rispetto al “salire in montagna”. Ma è proprio questa tensione irrisolta e aperta al domani a rendere il diario del nostro climatologo così umano, e il suo piccolo esempio di cambiamento così concreto e universale.
Andrea Membretti