Luigi Casanova, “Avere cura della montagna. L’Italia si salva dalla cima”. Altraeconomia, Milano, 2020, 192 pp.

L’Italia si salva dalla cima, perché la montagna, se sapremo guardarla con attenzione, è lo specchio del Paese, dei suoi problemi e delle loro possibili soluzioni. Questa idea della montagna laboratorio percorre tutto il libro, un saggio di buon ambientalismo, molto articolato, ricco di informazioni e di idee che poggiano i piedi per terra. In esso Luigi Casanova (già custode forestale e presidente onorario di Mountain Wilderness Italia) ha raccolto interventi di vari autori, sostenuti da documenti in cui negli ultimi anni si è espresso il meglio dell’ambientalismo italiano sulle tematiche montane, a dimostrazione delle  capacità propositive di quello che viene accusato di essere il “partito del no”.
Nell’introduzione l’autore si chiede perché  la forza ideale dell’ambientalismo italiano stenti ad affermarsi come forza reale, capace di contrastare le derive in atto (anche istituzionali) che minacciano le risorse e i beni comuni del nostro paese. Il libro vuol dimostrare come questa forza ideale abbia le potenzialità di trasformarsi in una forza reale del “Sì”.
Nella bella prefazione il noto scrittore Paolo Cognetti entra nella questione con tre storie da lui vissute, che dimostrano la necessità di una coscienza ambientale “che viva nel territorio”,  cioè con i problemi dei suoi abitanti, e che al di là dell’ideologia “elabori una visione economica della montagna”. Seguono  poi due pilastri di questa visione eco-sociale: il Manifesto di Camaldoli sulla centralità della montagna (introdotto dallo scrivente) e la Carta di Fontecchio (introdotta da C. A. Pinelli). Entrambi i documenti insistono sulla rilevanza nazionale del problema montano. Il primo prende il nome dalla località dove un anno fa si è svolto l’omonimo convegno  organizzato dalla Società  territorialista assieme a numerosi altri enti e associazioni (tra cui Dislivelli) e mette l’accento sui valori patrimoniali come fattori di un nuovo modo di abitare la montagna, che comprende libertà sostanziali e autogoverno comunitario come presupposti di una nuova civilizzazione rurale-urbana capace di contagiare il resto del territorio, metropoli comprese. Il secondo prende il nome dalla località abruzzese dove nel 2014 fu sottoscritto dai partecipanti al convegno “Parchi capaci di futuro”. Con la premessa che “utopistico è solo ciò che non si ha il coraggio di intraprendere”, la “Carta” affronta  temi fondamentali (la natura bene comune, il patrimonio naturale e la sua crisi, la missione contemporanea delle aree protette a tutela del paesaggio e del patrimonio culturale, la legge quadro del 1991) per sostenere l’idea della messa in rete dei parchi (“nessun parco è un’isola”), illustrata poi con la “Rete delle riserve” intorno a Trento.
Seguono due capitoli molto sostanziosi sulle principali risorse naturali della montagna:  le foreste, viste in relazione al cambiamento climatico (la tempesta Vaia!) e i corsi d’acqua in rapporto alla loro gestione. A supporto  sono riportati documenti redatti a conclusione di convegni specialistici ricchi di precise indicazioni, mentre il capitolo sull’Acqua è completato da un articolo della bellunese L. Ruffato sull’assalto alle derivazioni per l’uso idroelettrico. L’altra grande risorsa, quella del turismo è trattata dall’autore mettendo a fuoco le criticità del turismo di massa, le difficoltà di una riconversione  delle grandi stazioni invernali, il turismo dolce, la risalita dalla città delle classi benestanti. Sul turismo invernale “leggero” scrive V. Bonardo riferendosi al dossier Nevediversa di Legambiente. La tematica è illustrata dal resoconto di una tavola rotonda sullo sci nelle Dolomiti che allarga il suo discorso al duplice interrogativo: la montagna ha bisogno del turismo? Il turismo ha bisogno della montagna? Più avanti si approfondisce il tema dello scontro fra la cultura ambientalista e gli impiantisti attraverso un dibattito a distanza (in assenza di risposta) tra l’autore e la presidente dell’associazione nazionale esercenti funiviari V. Ghezzi, secondo la quale l’ambientalismo sarebbe nemico della vera sostenibilità.
Nel capitolo successivo il discorso sui rapporti esterni della montagna si estende  ai grandi eventi sportivi sulle Alpi, in particolare i mondiali di sci alpino 2021 e le prossime olimpiadi invernali 2026, mentre nel capitolo “I parchi, luci e ombre”  C. A. Pinelli riflette sulla  storia delle Dolomiti Unesco e M. Da Prà Pocchiesa su quella del parco del Cadore. A  supporto è riportato il documento delle associazioni ambientaliste “Un parco, tanti parchi, una proposta: 45 idee dei parchi dolomitici” presentata a Pieve di Cadore nel 1998 e tuttora attuale.
Oltre che con un tema particolare, ma scottante, come quella dei lupi e degli orsi nelle Alpi, il libro si conclude con due ampi discorsi. Il primo riguarda due realtà regionali diverse da quelle nord-orientali a cui il libro fa principale riferimento: l’Appennino “spina dorsale dell’Italia” e la Valle di Susa come sede del Laboratorio Alpino di Cipra Italia, interattivo e interpretativo dei cambiamenti in atto in una prospettiva progettuale transcalare (presentato da F. Corrado). Il secondo ampio discorso riguarda la visione “profetica” ambientalista. E’ svolto da don Luigi Ciotti (nativo del Cadore), che riflette sull’enciclica “Laudato si” di papa Francesco e sul nuovo paradigma dell’ “ecologia integrale”: un “sogno” per andare incontro al futuro.
Giuseppe Dematteis