Pier Paolo Viazzo, Riccardo Cerri, Da montagna a montagna. Mobilità e migrazioni interne nelle Alpi italiane (secoli XVII-XIX), Zeisciu Centro Studi, Magenta 2009
All’inizio degli anni Novanta l’Associazione culturale Zeisciu di Alagna Valsesia ha inaugurato un filone di studi dedicato al versante italiano del Monte Rosa. Nel luglio 2008, in occasione della presentazione della monumentale opera L’oro del Rosa. Le miniere aurifere tra Ossola e Valsesia nel Settecento: uomini, vicende e strumenti in Valle Anzasca di Riccardo Cerri e Alessandro Zanni, l’associazione ha organizzato il convegno i cui risultati sono oggi pubblicati nel libro Da montagna a montagna. Mobilità e migrazioni interne nelle Alpi italiane (secoli XVII-XIX). Il volume, curato da Pier Paolo Viazzo e Riccado Cerri, illumina alcuni elementi della mobilità in area alpina troppo a lungo lasciati nell’ombra, in particolare quegli spostamenti trasversali che collegavano le valli in un fitto scambio di saperi e competenze.
In una prima fase degli studi delle migrazioni alpine, durata fino agli anni Ottanta del Novecento, la convinzione era che a spingere alla migrazione fosse l’endemico squilibrio tra risorse e popolazione. La “fame montanara” era associata ad una visione miserabilistica delle Alpi, secondo la quale esse erano caratterizzate da regimi demografici primitivi, con forte mortalità e fortissima natalità. A lungo questa immagine ha continuato a pesare sul mondo alpino, finché una serie di studi, a partire dagli anni Ottanta, ha rivelato che un regime demografico a bassa pressione consentiva alle comunità di mantenersi ragionevolmente in equilibrio. Cadeva dunque l’ipotesi del sovrappopolamento che spingeva all’emigrazione. Storici e antropologi, inoltre, iniziavano a sottolineare la qualità della manodopera migrante. I montanari possedevano, come li ha definiti Patrizia Audenino, “mestieri per partire”. Le valli alpine si scoprivano quindi non più come fabbriche di uomini ad uso d’altri, ma come reti di imprenditorialità, anche a lungo raggio, governate localemente.
Questa immagine inedita delle Alpi si è originata, sottolinea Viazzo, da un déplacement metodologico che non solo ha spostato l’attenzione degli studiosi dagli archivi cittadini a quelli locali, pubblici e privati, ma ha spinto i ricercatori alla discesa sul campo. Senza questa svolta, basata su un approccio microanalitico, difficilmente si sarebbero potute ricostruire le traiettorie biografiche di tanti migranti e spesso anche le loro fortune economiche. Ieri come oggi, infatti, all’interno degli studi sulle migrazioni è fondamentale tenere presente il ruolo attivo dei migranti, quella che viene definita l’agency, che anche in ambito alpino ha rivelato dimensioni inaspettate.
A partire dagli anni Novanta, alcuni studi iniziano a proporre uno sguardo “capovolto” in cui il flusso non è diretto solo dalla montagna alla pianura. Nel volume Da montagna a montagna, i saggi di Pietro Crivellaro, Marco Cuaz e dello stesso Viazzo fanno riferimento a viaggiatori e scienziati che, a partire dal Settecento, risalgono le valli e ne scoprono le cime. La nota figura di Horace-Bénédict de Saussure, «che si inerpica per mulattiere e sentieri scoscesi portandosi appresso barometri, bussole e strumenti geodetici», ma è attento osservatore anche delle realtà minerarie, rimanda al saggio di Riccardo Cerri e Alessandro Zanni e di Roberta Zanini sulle miniere della Valle Anzasca e della Val Chiusella, che catalizzano movimenti intra-alpini, da montagna a montagna, appunto.
Un ampio ventaglio di attività “in movimento”, di artigiani, mercanti, segantini, carbonai, pastori, è inoltre descritto nei saggi di Roberto Fantoni e Luigi Lorenzetti.
L’immagine che ne deriva è quella di un complesso sistema migratorio alpino che si collega con sistemi esterni, in una fitta rete di interconnessioni in cui le Alpi non sono certo un luogo marginale.
Valentina Porcellana